Quanto sono presi bene gli Hobos? Vi auguro vivamente di incontrarli, anche virtualmente se potete, perché in un battibaleno riescono a travolgerti. Lo leggerete: in poche parole sanno condensare un mondo, bello e brutto allo stesso tempo, ma vissuto in prima persona e per questo di grandissimo valore umano. Oltre a questo, come se non bastasse, Nell’era dell’apparenza è uno dei miei dischi preferiti dell’anno scorso e credo che dovreste ascoltarlo appena finite di gustarvi tutta d’un fiato l’intervistina che segue. [F]
Gli Hobos oramai sono delle celebrità, ma un tempo le cose erano molto diverse. Ad esempio alcuni di voi erano negli oramai morti e sepolti Outsider, autori di un album nel lontanissimo 2006. Avete bei ricordi di quel periodo? Cosa direste a voi stessi, se poteste tornare indietro nel tempo? Consigli o insulti? Gli Hobos sono nati dalle ceneri degli Outsider, o almeno l’ultima formazione di questi, infatti perso l’ultimo e più rappresentativo elemento (Gigi), abbiamo deciso che era il momento di chiudere il progetto e cominciarne uno nuovo. I ricordi sono ancora vivi ed abbiamo macinato un sacco di ore di prove e concerti che ci hanno formato. Il più emozionante è stato il Gods of Metal del 2007, dove abbiamo condiviso il palco con mostri sacri del metal come Ozzy. Potessimo tornare indietro, ci sarebbe stato da migliorare un po’ di cose ma nel complesso ci riteniamo soddisfatti nonostante la poca esperienza che avevano al tempo.
Quando avete sciolto gli Outsider c’era già qualche idea di quello che sarebbero stati gli Hobos? In altri termini: gli Hobos sono rimasti un po’ Outsider e gli Outsider erano già un po’ Hobos? Eravamo già affiatati come band, ma c’è stata la necessità di dare una svolta. Ci siamo trovati con la formazione a una chitarra e per non perdere tempo siamo partiti a comporre i pezzi nuovi con attitudine a metà strada tra punk e rock’n’roll rispetto agli Outsider. Gli “hobos” appartengono alla cerchia più grande degli “outsider” quindi diciamo che ci siamo specializzati… ahahah
Potete spiegarmi gli ideali dietro al nome Hobos? Da qualche parte vi siete definiti vagabondi, senza tetto, barboni per scelta “che suonano metal come piace ai punks”. Ecco, c’è un discorso di base, delle scelte che vanno oltre l’aspetto musicale? Il nome Hobos è stato dedicato a Gigi, che lasciati gli Outsider e il posto di lavoro aveva deciso di intraprendere la vita di musicista di strada. Da lì si è creato l’immaginario che ci ha dato l’identità a livello di sound e testi, oltre a una sorta di filosofia che si ispira alla vita di strada come rifiuto della società e del capitalismo odierno.
Contando le tante ristampe in vari formati, avete diffuso il vostro primo full length in circa 500 esemplari. Avete venduto tutto? Questo numero è stato importante per voi, per spingervi ad andare avanti? Con una ristampa del vinile e tre ristampe nel formato CD abbiamo quasi superato le 1000 copie vendute del primo lavoro e ovviamente sì, la risposta del pubblico é stata fondamentale per capire che con il cambio di nome e stile avevamo fatto la scelta giusta. Tutto venduto o regalato nei primi periodi, ma c’è ancora qualche rara copia che gira.
Avete fatto due split fino ad ora. Questo tipo di uscite vi piace ancora? Ce ne saranno altri? Sì, gli ci hanno fatto scoprire quei fighi degli Spavaldery e dei Border Bastard, con cui abbiamo condiviso concerti, serate e bevute che non dimenticheremo. C’è da tempo la voglia di farne altri con gruppi di amici, come gli Overcharge, ma per il momento niente di programmato.
Nell’era dell’apparenza ha una cronistoria abbastanza estesa: a partire dalle registrazioni degli strumenti a luglio 2017, si può dire che ci sono state varie tappe, anche non molto vicine tra di loro, visto che l’arrivo (ossia la pubblicazione) è datato gennaio 2019. Per voi come è passato questo tempo? Dopo un periodo intenso a livello di concerti, dopo le registrazioni del disco abbiamo deciso di prenderci una pausa. Contenti del nuovo disco siamo andati in cerca di collaborazioni con etichette fuori dall’Italia, per cercare di sconfinare e per ritrovare le forze di spingerlo al 100%. Poi la situazione è un po’ sfuggita di mano ed i tempi si sono allungati, tuttavia questo ci ha dato tempo di preparare video e date promozionali che hanno alzato il desiderio del pubblico.
Oltre naturalmente alla musica strepitosa, il nuovo album colpisce subito per la parte grafica. Spiegatemi un po’ i disegni spettacolari che lo corredano. Nel 2013 ci avete narrato una vostra visione del mondo che si è tradotta nell’album omonimo. Oggi siamo nel pieno dell’era dell’apparenza: la situazione è peggiorata? Come per il primo disco, per la parte grafica ci siamo affidati ad un’artista (oltre che amico) locale. Ci piace lavorare con persone con cui possiamo avere un rapporto umano e che possa sviluppare al meglio le nostre idee. L’immagine era arrivata da un’illuminazione fulminea che rappresentava il concetto del disco e Lenny con le sue doti l’ha resa al meglio. Per quanto riguarda la situazione attuale, come dicono i Wretched, speriamo venga la guerra.
Come funziona la formazione a cinque? Secondo voi si sente la differenza rispetto ai vostri primi brani? La formazione a cinque è nata quasi per caso, Matte è entrato prima per darci una mano alla batteria nei live quando Fede non poteva per motivi sportivi o di studio, successivamente ha sostituito Rizla alla chitarra, partito per lavorare a Londra, quando non poteva scendere, o in supporto come seconda chitarra. Matte è entrato stabilmente in gruppo e da qui è nato un nuovo tipo di composizione a due chitarre che ha dato i suoi frutti, sia a livello live dove ha aumentato l’impatto sonoro, sia in fase compositiva dove abbiamo dato spazio ad armonizzazioni, ritmiche e riff più vari e incalzanti. Ora non possiamo più farne a meno.

Perché avete scelto Spikerot Records per il cd e avete continuato con Assurd Records per il vinile? Cosa deve fare e offrirvi una etichetta per conquistarvi? Assurd ci aveva già dato fiducia col primo disco investendo con l’uscita in vinile, con Alessio si è creato un rapporto di amicizia per cui è venuto naturale affidarsi nuovamente a lui. Spikerot, che fino a poco prima di noi si occupava di colonne sonore di film cult, ha investito su di noi come prima uscita di musica originale, ma i ragazzi sono davvero professionali ed hanno seguito la promozione del disco attraverso recensioni e diffondendo il disco anche sulle piattaforme digitali, oltre che occuparsi dell’organizzazione di quel bellissimo festival chiamato Frantic. È stata una combo vincente.
Su Metal Archives siete catalogati come un gruppo che suona “Melodic Death/Heavy Metal/Hardcore”. Sono sicurissimo che per voi andrebbe bene anche se dicessero che suonate il liscio. A voi importa che la gente vi conosca e apprezzi ogni aspetto di voi oppure va bene divertirsi, anche se poi in fondo di voi non ha capito un cazzo? Dopo 40 anni di metal è un po’ riduttivo etichettare un gruppo con un genere, a meno che non ne sia l’ideatore, certo che melodic death suona veramente male ahahah Per quanto riguarda il pubblico, quando arriva qualcuno a complimentarsi sono sempre soddisfazioni, da quello estraneo al genere che ti senti di aver catturato al cultore che ti fa capire che stai seguendo la giusta strada. Il nostro intento è quello di divertire e divertirci, se poi questo si trasforma in interesse o ancora meglio passione abbiamo colpito nel segno.
Da qualche parte vi siete definiti “metal da strada”. Eppure leggo che per molti il metal non è più quel genere musicale ribelle di un tempo, che addirittura oggi è più violento il rap, per certi versi. Sentite anche voi che il metal ha perso la sua carica primordiale o sono soli cazzate? Del resto anche alcuni di voi erano partiti con il metal degli Outsider e adesso siete degli adorabili barboni hardcore metal. Il metal, come ogni cosa che passa per le masse e diventa di “moda”, ha perso in parte il fascino delle origini che aveva come musica di protesta e per gli emarginati sociali, basta pensare all’ondata anni 90 che ha tirato dentro una marea di gruppi e nuovi ascoltatori che hanno attirato gli squali delle major e trasformato il genere in un pappone senza sentimento. Fortunatamente per chi ha passione, gruppi e dischi con la carica primordiale son sempre esistiti e continuano ad esserlo, sapendo scegliere.
Non ho ancora assistito a un vostro live, ma spero di riuscire a colmare questa mia lacuna prima o poi. Per voi “lo show è fare l’amore”? Sì, come ben dici citando il testo de La scena, per noi il live è l’apice, il momento in cui viviamo più intensamente il rapporto tra la nostra musica e chi l’ascolta con petting e scambio di fluidi annesso. In base alla qualità della serata torni a casa con un due di picche, una pomiciata od un orgia collettiva ahahahah!
Ascoltandovi si sente subito che adorate gli Entombed. Avete pure suonato assieme alla band di L.G. Petrov un annetto fa in un contesto puramente metal. Cosa vi piace di più in serate come queste? Vi sentite pienamente a vostro agio? Il pubblico metal ha una gran dedizione alla musica e supporta spesso e volentieri. La gente arriva presto, si gode il concerto e se ci sono thrasher ubriachi pogano pure, son ghiotti di merch e ne vanno fieri. Se la serata ha il piglio giusto e la gente si diverte siamo felici, se ti fissano per analizzare la plettrata alternata o la dominante della scala ci annoiamo.
Di recente si fa un gran parlare di legami tra ambienti di estrema destra e black metal. Frequentando spesso ambienti metal, oltre a quelli hc, vi siete fatti un’idea? A serate black metal non abbiamo ancora suonato, ma voci, aneddoti e testimonianze confermano che un qualche legame ci sia, anche se la maggior parte della visione politica legata al black metal è un brutto fraintendimento, se solo per pochi si accusa tutta la scena metal è perché non la si conosce.
Quali parole vi esaltano a dismisura e quali vi abbattono? Dio porchius / auanagana / ghesboro / uau / yes – Finitelebirre / finitoicannoni / finitotutto / finito /no
Vi hanno mai accusato di esservi commercializzati sulla scia del solito luogo comune “bravi, ma sono finiti dopo il primo disco”? Ad esempio, visto che avete fatto diversi videoclip, sappiate che ai più “puri” di solito bastano anche solo quelli per sparare sentenze. Per fortuna no. Dicono che tra le chiavi del successo ci sia anche quella di sapersi vendere, noi barboni già di spirito, per luogo comune, nasciamo “falliti”, ma più ti esponi e più è facile ricevere critiche, e l’ambito underground non perdona. Sacrifici e investimenti spesso vengono additati come “venduti” perché non si ha una visione comune o si vuole infangare. Ovviamente chi paga per suonare, le cover band, gli squali e gli sfruttatori della musica son banditi, anche se ad ogni categoria appartiene un aggettivo più appropriato… E di certo non ci vedrete mai a Sanremo, anche se i testi sono in italiano: quando scegli un genere già metti dei paletti, per fortuna, ma un vecchio proverbio Hobo dice “meglio vendersi per suonare che svendersi per lavorare”.
Siete presenti su Facebook, praticamente l’unico social network che uso perché sono vecchio dentro. Vi piace starci o gestite la pagina quasi per dovere, perché così fanno tutti? Ci piace bere, mangiare, far festa ma Facebook no, o almeno per come lo usano tante persone. Di certo è comodo per mettersi in contatto con promoter, gruppi e ammiratori, per promuovere i concerti senza stampare carta e tacchinare e… sì, alla fine si è dovuto scendere a compromessi, ma almeno i contanti non glieli abbiamo mai donati.
A febbraio del 2019 vi hanno fregato gli strumenti dal furgone. È stato un durissimo colpo per voi. Ci sono stati sviluppi? Vorrei un vostro parere sul commento che ha aperto un thread di quasi duecento risposte sotto alla foto della denuncia del furto. Una ragazza ha scritto “Rubare gli strumenti è una merda, ma andare a denunciare non è da menti illuminate”. Forse questa persona ha ascoltato il vostro brano Muori Sbirro ed è saltata a quella conclusione, chissà… Purtroppo no, ormai abbiamo perso le speranze. È stato duro sì, come fare denuncia d’altronde, non abbiamo fiducia per chi ci controlla e non avevamo dubbi che non ci sarebbe stato alcun tipo di ricerca da parte loro. Se qualcuno avesse trovato per caso i nostri strumenti, almeno avevamo in mano una carta che ne dimostrava il furto, ma da dietro la tastiera è facile essere presuntuosi. Per fortuna oltre a quello sono arrivati una marea di messaggi e gesti di solidarietà da imbarazzarci, come raccolte fondi spontanee o le maglie di Trivel, evitando che il fattaccio si ripercuotesse su di noi.
Le recensioni al vostro ultimo album sono tutte positive. Credo siate felici che tanti si stiano divertendo con la vostra musica. Vi aspettavate qualche critica in più? Qualche critica costruttiva ci sarebbe stata, magari per spronarci a fare meglio, ma ci fa felici aver avuto riscontro positivo da varie parti del mondo, il disco ci piaceva e ci hanno interpretato bene, cantare in italiano non è stato un limite e siamo molto soddisfatti in generale. Suoniamo per distruggere: se svelassimo il nostro punto debole saremmo finiti ahahahhah!
Tra le righe di queste – pur ottime – recensioni traspare a volte una velata sufficienza, trasportata dal mantra “tanto non si inventa nulla di nuovo”. Come se alcuni intendessero che creare e suonare la vostra musica sia qualcosa di facilissimo, banale e di poco conto. Cosa ne pensate? Suoniamo un genere che esiste da quasi cinquant’anni e ne siamo devoti. Noi suoniamo quello che ci piace, se cerchi in noi qualcosa di nuovo hai sbagliato ascolto. Se ci ascolti ed entriamo nelle tue corde, allora sei un barbone come noi.
Allo stesso modo, nelle vostre infinite scorribande per concerti in tutta Italia, vi è capitato di avere a che fare con gente (promoter, pubblico) che non aveva capito il senso del vostro vagare? Della serie “Hobos = metallari zozzoni barboni = li pago con mezza birra ciascuno”, in sostanza. È gente per cui “l’inferno non basta“ o voi siete più morbidi nei loro confronti? Quando abbiamo cominciato a suonare, nel 2012, andava bene tutto, due dei primi tre concerti li abbiamo fatti in ex stalle agghindate per l’occasione ed eravamo felici con una cassa di birra. C’era entusiasmo e ci bastava suonare e divertirci. Nel tempo i vari impegni della vita ci hanno portato ad essere meno entusiasti di suonare solo per il gusto di farlo e ci ha fatto diventare più “professionali”. A malincuore abbiamo dovuto cominciare a rifiutare concerti, con lo scopo di farne meno e meglio valorizzando il nostro tempo per non perderci soldi. Abbiamo fatto come tutti esperienze negative coi promoter, ma fortunatamente mai con gente alla pari del clero, per cui l’inferno non basta.
Parafrasando un paio di versi di Comincio a Capire, dalla vostra consistente esperienza da vagabondi, qual è la città più strana, che “fa male alla testa”, in cui siete stati? La città che fa più male alla testa di solito è quella in cui passi più tempo. Viaggiare stimola la curiosità e il fascino della scoperta, quando sei immerso nella routine del posto in cui vivi non si apprezzano più nemmeno le piccole cose belle che ci circondano. Per chi è nomade di spirito vagabondare diventa essenziale. Per quanto riguarda i concerti forse la città che ci ha fatto più mal di testa è stata L’Aquila qualche anno fa; vedere a distanza di dieci anni la devastazione del terremoto ancora così presente è stato angosciante, per fortuna all’asilo occupato abbiamo trovato il canapino e ci abbiamo bevuto pesantemente sopra.
Ma a parte questi aspetti negativi, viaggiando sono sicuro che avete legato con tantissima gente tosta, da ammirare. È anche questo continuo scambio di idee con gente anche lontana geograficamente che vi arricchisce? C’è qualcosa di salvabile in questa “era dell’apparenza”? Senza dubbio. Conoscere un sacco di bella gente, culture e tradizioni nuove ci riempie e ci fa diventare più ricchi, ed è una delle risposte alla fatidica domanda “ma chi ce lo fa fare?”, che si ripresenta ciclicamente quando le cose non vanno come vorresti. Fortunatamente in giro per l’Italia, dove abbiamo suonato abbastanza, esistono realtà e controculture con cui abbiamo molto da condividere, scoprire e confrontarci che ci fanno ben sperare che quest’era è solo di passaggio.
Alla luce di ciò, perché certi individui vogliono innalzare muri, limitare gli spostamenti e schedare le persone? Che ragioni ci sono dietro a scelte politiche ahimè molto popolari oggigiorno? Non sanno che “divisi si sogna a metà”? Lo sanno meglio di noi e per questo motivo cercano in qualsiasi modo di dividerci e isolarci, cosicché controllo e repressione siano più facili e gestibili. La storia ha provato a farcelo capire, ma evidentemente non vogliamo ricordarcelo
Del Veneto e delle sue infinite possibilità in termini di band e di eventi avete parlato spesso nelle altre interviste. Si è creato qualcosa di davvero importante, in particolare col Venezia Hardcore Crew e annesso festival. Che ruolo avete avuto, personalmente e come Hobos, in tutto ciò? Con gli Hobos ci abbiamo suonato la prima volta nella seconda edizione del festival, quando Samall e tutta la crew stavano crescendo con una carica di entusiasmo coinvolgente, che a Venezia mancava ormai da anni, ed abbiamo voluto dare il nostro contributo anche in prova persona. Ogni anno Rizla scende da Londra per aiutare nella gestione palchi assieme a Bonsio, Fabione si fa almeno 15 band al mixer e Matte mantiene a modo suo le relazioni interpersonali bevendo anche per gli altri ahahhhah!
Hanno fatto bene gli Slander a chiudere bottega? Rispettate la loro scelta oppure talvolta tentate di spingerli a tornare? Bene o male, per loro fare uno stop era diventato necessario, avevano speso un sacco di energie, forse troppe, per cui la scelta è stata inevitabile. Comprendiamo, ma ci auguriamo che ritornino più in forma di prima, nel frattempo per non fargli perdere mano lo scorso anni abbiamo arruolato Saverio degli Slander, che anche nel 2020 sarà alla batteria con noi quando non può suonare Hobo “Osho” Federico.
Vi piace il calcio? Leggendo solo il titolo di Fino alla fine potreste passare per juventini… eheheh! A parte ciò, come vi sentite a condividere la vostra provenienza con questi esseri? Solo due di noi sono calciofili, interisti per sfortuna loro ahahah! Meno male che siamo per lo più veneziani piuttosto che veronesi, anche se pure la nostra curva non sta messa bene; da anni ormai il calcio è sempre più una questione economico-politica che sportiva, e come per la musica, l’underground sportivo è per lo più moralmente onesto. Odia lo stadio, ama la tua bocciofila 🙂
Per dei persone erranti come voi, cosa significa sentirsi a casa? Stare bene e condividere buone e cattive esperienze. Se puoi fare a meno delle comodità di un tetto sopra la testa quattro mura stanno strette. Casa è dove c’è famiglia, quando trovi persone con cui hai condiviso esperienze simili anche a distanza il rapporto che si crea a volte ha un valore anche superiore a quello di sangue, è una ricerca lunga e dura ma ne vale la pena. Barboni per scelta.