Non è semplice raccontare un festival così noto e longevo, a meno che non si voglia cadere in ripetizioni a cavallo tra noia e retorica. Gli argomenti sono sempre gli stessi. Provate a fare un giro anche su altri articoli omologhi e prendete nota delle parole chiave: entusiasmo, aspettative, felicità di ritrovare gli amici, il panino con la salsiccia, grandi gruppi, con chiusura (tra lo stupore e il rammarico) sul numero di avventori. Ecco, vi svelo un segreto: puntare il dito contro il metallaro che non ha alzato il culo (locuzione abusatissima nei gloriosi reportage) non gli farà cambiare idea. Pensate davvero che possa passare notti insonni a causa delle dure parole delle nostre omelie? I numeri oggi sono ridotti, punto. Lo sono se si punta alle nuove band rampanti come fa – in parte – il Frantic, perché purtroppo manca la curiosità della scoperta. Lo sono persino se si punta sui grandi nomi storici come fa l’Agglutination perché “questi li ho visti sette volte, quelli due e questi altri mi sanno di baccalà con spuma di merda”. Appare evidente che oggi tenere in piedi un festival metal è roba per pochi coraggiosi, organizzarlo tentando di coinvolgere cinquecento-mille metallari nel cuore della Basilicata è un’impresa titanica. Alla portata di Gerardo Cafaro, appunto, avvinghiato alla sua creatura ormai adulta con forza commovente. Lo ringrazio perché ho quasi respirato l’aria delle magiche edizioni con tratti estremi preponderanti (2014 e 2015, con nomi come Belphegor, Carcass, Entombed, Inquisition, Obituary, Forgotten Tomb).
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