Dying Fetas: War Possession, Necrovorous, Pile of Excrements

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Il solito luogo comune della Grecia come terra fertile solamente per il black metal è destinato ad essere disintegrato, masticato dalla dentatura marrone scuro di un mucchio di gruppi che -a quanto pare- si sono dati tutti appuntamento per l’autunno 2017.

 

È una cricca con posizioni comuni e/o invertite, una ragnatela di musicisti che hanno come comune multiplo (o denominatore? mah) gli Embrace of Thorns. In sostanza, in questa band dall’esperienza quasi ventennale con quattro album che si mangiano in un sol boccone gli ultimi Belphegor, sono transitati (o fanno ancora parte) soggetti che oggi sono tasselli essenziali delle tre entità protagoniste di questo articoletto dal titolo imbarazzante.

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Nei War Possession, ad esempio, c’è Haris Vouyiatzis, che oltre ad essere chitarrista degli Embrace of Thorns, è bassista live per gli esoterici Serpent Noir. In osssequio al proprio nome, sono ossessionati dalla guerra e ciò è provato dai testi, che richiamano vari episodi che vi potranno essere noti come lo sbarco in Normandia, l’operazione Tiger a Slapton Sands e la battaglia di Verdun. Infatti War Is The Father And King Of All. Verrebbe da definirli war metal, ma war metal (ossia dei cani agli strumenti) non sono. Infatti, come da tradizione aurea di Memento Mori, allestiscono un gran bel disco death metal che di primo impatto mi ha ricordato quello dei colleghi e compagni di etichetta Ekpyrosis, in un contesto più doom. Meno Incantation e più Asphyx, volendo fare i ragionieri. Qui però c’è tutto fuorché sterili calcoli, è un tuffo nel limaccioso e filiforme mondo oscuro disegnato in copertina. Nulla di caotico o approssimativo però, è tutto molto nitido e professionale. L’unica critica che posso fare è che la chitarra perde un po’ di smalto in alcuni passaggi più veloci, mentre è molto più demoniaca e dinamica nelle sezioni old school. Doomed To Chaos: colpi di mortaio come se fossero cinguettii di usignoli.

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Con i Necrovorous entra in scena Vagelis Felonis. Con vari pseudonimi il batterista ateniese è stato motore di innumerevoli gruppi di vario tipo. Sospendo il giudizio sui più melodici e classici Sacral Rage e Saboter e cito in modo esemplificativo i nostri punti di riferimento Embrace of Thorns, il primo bellissimo album dei Resurgency, le prime demo degli Acrimonious, il disco dei malvagi Chainsaw sulla scia dei Bulldozer e infine i più ritualistici, seriosi -e un po’ noiosi- Burial Hordes e Heretic Cult Redeemer. Dagli Embrace of Thorns arriva anche il cantante/chitarrista Archfiend DevilPog. Tutto lo slancio dei War Possession e le melodie doom vanno a farsi maledire in qualche cimitero sconsacrato del Peloponneso. Plains of Decay era atteso da ben cinque anni, da quel Funeral For The Sane che metteva in chiaro come erano passati i tempi delle demo da discepoli con poca personalità personalità degli Autopsy. La copertina mi aveva fatto temere il peggio (cioè una roba alla Desecresy) ma dopo qualche ascolto Plains of Decay ha trovato una sua collocazione. Purtroppo non ai livelli del suo predecessore, anche perché il sound è ancora più scandinavo: se allora erano consistenti le iniezioni di Entombed e Grave, qui si va anche verso gli Unleashed, ci sono riff lunghi e sgroppate di batteria che probabilmente era quello che volevano ottenere i Firespawn invece della roba secca che hanno pubblicato. Sulla carta avrebbero dovuto essere più sporchi dei War Possession (e di fatto lo erano fino a qualche tempo fa), mentre hanno una produzione molto elettrizzante, specialmente nelle chitarre. Il neo più evidente è l’altalena qualitativa tra brani immediatamente classici e memorizzabili ed altri banali e sempliciotti, Cherish the Sepulture vs Eternal Soulmates, esemplificando. Mi fanno godere un sacco quegli assoli come li facevano i vecchi Carcass, influenza principale di tutta la canzone Misery Loves Dead Company. Sono tutti dettagli che danno gusto ulteriore. Non è l’uscita più significativa di questo insieme di cape di morto, ma è fatta decisamente bene nel suo complesso, soprattutto se consideriamo i concorrenti spompati di questo tipo di death metal. Plains of Decay: un discreto intermezzo…

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… prima di piombare, senza preavviso, col respiro mozzato e la vista annebbiata, in un calderone pieno di merda fumante. È fresca, appena fatta, ha ancora sapori e odori molto suadenti. Una degna conclusione di questo viaggetto in terra ellenica è rappresentata dai Pile of Excrements, guidati dal drumming stavolta semplice e diretto del già noto Vagelis Felonis (qui soprannominatosi molto appropriatamente Shit Eater) con la partecipazione di un suo compare dei Chainsaw (piacere, Necropervert). È un contesto sempre più degradante, in apparenza è più facile scrivere e suonare un album che ha come tema principale la cacca, anche se ci vuole comunque un certo savoir faire. Eppure nella semplicità e nella fluidità -che non si traduce con diarrea- Escatology è un gran bel lavoro. Il giochetto di parole tra escatologia e scatologia è vecchio come guano di piccione dell’estate scorsa e i riff sono consistenti pagnotte rivoltanti e dal colorito sano, senza tracce di sangue. So che ci sono canzoni che iniziano e finiscono come altre mille dagli innumerevoli album dei Master o dai molto meno numerosi dischi degli Autopsy, che i rallentamenti alla Hellhammer sono subito individuabili, ma quando sento certe sinfonie di cattivo gusto mi vengono le lacrime agli occhi per la felicità. Sentite come canta il signor Necropervert e poi riferitemi se non avete iniziato a perdere denti e capelli per la felicità. Mi è successo con i Cadaveric Incubator, ad esempio. Come loro anche i Pile of Excrements non sono classificabili come goregrind, hanno la cacca che scorre nelle vene al posto del sangue e devono fare il motivetto della cucaracha così, all’improvviso. Uno scat porn in musica. Una mano al portafogli e l’altra sul rotolo di carta igienica più vicino. Altrimenti potete usare direttamente le mani. Non si butta via nulla.
[F]

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