Intervista a Santo Premoli – Fresh Outbreak Records

Generalmente mi occupo di death metal, di black metal, di grindcore, lo zio Salva si occupa anche di crust, ma non penserete sia tutto lì. Un’altra mia passione, meno evidente, sono certe uscite hardcore punk/screamo/powerviolence/post hardcore che, arrivato a diversi anni di carriera come bloggettaro, non ho quasi mai fatto emergere. Ecco perché ho voluto fortemente intervistare non un musicista, ma uno che questa musica la pubblica. Santo Premoli è stato uno dei nomi più influenti di Grind On The Road, webzine che secondo me fareste bene a seguire, per poi passare al lato oscuro e fondare una label. Ecco, siamo arrivati a Fresh Outbreak Records, il cui catalogo è già enorme. Ringrazio Santo per la grande disponibilità e per la cruda intimità che ha lasciato emergere in più parti dell’intervista. [F]

Chi o cosa ti ha fatto pensare che avresti dovuto aprire una label? Mi ero trasferito a Catania nel lontanissimo 2008. Il mio background era quello di una persona di provincia che comprava le riviste in edicola e ascoltava gli album che venivano recensiti. Ovviamente non avevo la minima idea che potesse esserci un mondo musicale underground così immenso, figurati che internet all’epoca lo scroccavo quando studiavo nella biblioteca dell’università. Facebook esisteva da pochissimo, o comunque l’ondata grossa in cui la mia generazione si iscrisse, avvenne proprio in quegli anni. C’era Myspace ma sappiamo tutti bene che capitolo vergognoso sia stato quello per la musica. Vivevo in una città di provincia in cui i concerti erano la giornata dell’arte e il primo maggio anarchico. Catania era chiaramente tutta un’altra cosa. Bene, conobbi sin da subito ragazzi di Catania Hardcore, uno dei quali, Luca, mi disse di avere un’etichetta. Rimasi a bocca aperta fino a che non mi spiegò il concetto di coproduzione. Tutto bello, per carità, ma squattrinato per com’ero, quello fu un periodo in cui smisi persino di comprare dischi, figurarsi co-produrre. Un altro step fondamentale fu quando con Tifone Crew decidemmo di tenere una distro e fare delle co-produzioni. Nel frattempo Ciccio della Cris Core mi aveva lasciato tutta la sua distro e le sue co-produzioni e le esponevamo ai banchetti. Tutto ciò mi piaceva in maniera esagerata, solo che il budget Tifone era per lo più impegnato per la produzione di concerti, per cui decisi che era il momento di mettermi in proprio. Considera che nel frattempo, negli anni, avevo conosciuto tanta gente che mi aveva ispirato, in primis Manu della Shove e Cris della Drown Within, così come Mario della MAD Production. Avevo chiare le logiche di una piccola etichetta e così iniziai. 

Quando ti ho intervistato come membro di Tifone Crew mi dicesti: “abbiamo iniziato mettendo in cassa una ventina di euro di monetine per dare il resto al primo concerto. Da lì abbiamo creato una cassa che si è autoalimentata da sola concerto dopo concerto. Dietro non abbiamo né sponsor (in realtà ci ha sempre accompagnati il Lennon Club) né investitori e tra di noi non ci sono nemmeno organizzatori di eventi stricto sensu, per cui facciamo i preventivi un po’ alla buona ma provando a coprire tutti i rischi. Insomma, impariamo man mano che facciamo. L’importante è avere band valide, provare a minimizzare i rischi e mantenere i ticket più bassi possibili”. Hai esportato questo metodo “popolare” e prudente anche a Parma con Fresh Outbreak? Ah no, no! Le dinamiche sono grosso modo quelle, ma non ho esportato nulla. Au countraire. Ho imparato tantissimo. A Parma ho avuto la fortuna di essere accolto da persone stupende che gravitano tutte in un modo o nell’altro nel mondo della musica tra band, etichettine, organizzazione di concerti (Budget Living, Shitty Life, Dadar, Wah’77, Nasty Brigade, Maremarcio, Saletta Adorno, Splinter, Collettivo La Defense, Inferi, Buiiiio. Burro) Sono stato prima incluso dal Collettivo La Defense e dallo Splinter nell’organizzazione del primo Alle Foglie Fest, poi sono entrato dentro Solchi – una distro D.I.Y. con cui abbiamo organizzato qualche concerto. E’ tutto molto diverso rispetto al sud e sto ancora cercando di capirne bene le dinamiche.

Cd, cassette, vinili o streaming: cosa preferisci e perché? Purtroppo ho una collezione di cd infinita che ho messo su durante l’adolescenza, poi ho avuto un momento di pausa in cui mi ero fatto travolgere dal download selvaggio. Quando ho ricominciato a comprare musica ho virato verso i vinili che, attualmente, è il mio formato preferito. Non già per la classica spiegazione del suono più caldo, non saprei nemmeno dirti se è veramente così  ma, molto prosaicamente, perché sono un gran feticista e collezionista. E come oggetto, l’emozione che ti dà il vinile è inappagabile.

A parte le tue preferenze, secondo te quale supporto sarà il futuro della nostra musica? La considerazione che faccio è questa. Chiaramente chi ha iniziato ad ascoltare musica con i supporti fisici adesso ha la sua età, c’è chi ha mollato, chi ha famiglia, chi non se ne cura più. Gli ascoltatori di oggi, che saranno anche quelli di domani, ascoltano in streaming. I giovani ascoltano in streaming. Al netto di qualche mosca bianca, saranno loro che continueranno a trascinare l’industria discografica. I ragazzi hanno accesso a tutto gratuitamente, o meglio, sottoponendosi a pubblicità, e quando uno è abituato ad avere le cose gratis difficilmente decide di iniziare a spendere soldi per le stesse cose di cui ha sempre usufruito gratuitamente. C’è da dire che le major sul vinile ci stanno puntando molto, con edizioni della luna costosissime e generando hype, diventando una moda. Ma, come ci insegna il buon Giacomino nostro, la moda è così effimera da racchiudere in sè la morte nel momento stesso in cui nasce. Per cui sì, il vinile sta avendo un gran bel momento di gloria, e purtroppo questa cosa rompe immensamente il cazzo a noi che amiamo l’underground, perché significa fare code di 10 mesi per poter stampare un disco a tiratura limitata, significa che i costi di produzione si sono alzati, però lo streaming l’avrà vinta. Voi per favore ascoltatevi Spotify crackato così che noi possiamo goderci i nostri vinili.

C’è qualcosa di più profondo che lega tutte le uscite Fresh Outbreak, a parte il tuo sommo gradimento? Come per ogni cosa la fruizione di una forma è sempre un qualcosa di graduale. Chiaramente i generi e le band che coproduco mi piacciono per via del mio background di ascoltatore e conseguentemente per ciò che sono oggi come ascoltatore. Sicuramente il filo d’Arianna che unisce le mie uscite è estremamente personale. Non tutti gli ascoltatori di screamo si esaltano per un album grind, per dire. Io sì. Allo stesso tempo mi riservo la possibilità di rompermi le palle di ascoltare determinate cose, non identificarmi più con certe vibrazioni e magari, chissà, un domani, ammesso che la label abbia un futuro, virare verso altri generi e band.

Credi che avere un’etichetta discografica abbia un qualcosa di romantico? Non è solo un modo per vendere un prodotto e guadagnarci qualche spicciolo? È un giro di parole per chiederti se consideri Fresh Outbreak come un lavoro, come un hobby o altro ancora. Cazzo, guadagnare! In realtà per me è una tassa mensile. So che prendo parte dello stipendio e lo dono alla causa. È quello che riesco a fare per il punk. Al limite è un fatto politico, sostenere una causa ma è una cara e beata illusione, me ne rendo conto. Purtroppo non riesco nemmeno a vederlo come un hobby, oggi che non ho più tempo. Uno sbatti semmai, un obolo che mi sento di versare.

In generale cosa ti fa pensare di dovere assolutamente collaborare con un gruppo? Il cosiddetto colpo di fulmine. Come ti dicevo, semplicemente la possibilità di aiutare nel mio piccolo una band che sia valida, abbia qualcosa da dire e che mi piaccia.

Ti ricordi la prima strofa della prima canzone mai pubblicata su un album Fresh Outbreak? Per niente, sono quel tipo di persona che ha sempre cantato sulle canzoni inventando i testi.

C’è stato un gruppo che non hai pubblicato perchè sarebbe interessato solo a te e altri cinque disadattati e sarebbe stato assolutamente invendibile? Considera che a breve uscirà  un doppio vinile di un gruppo screamo malese. L’unica cosa che mi rode sono quelle coproduzioni con decine di etichette tutte italiane.

Ci sono stati invece gruppi che hai pubblicato proprio perché interessavano solo a te e ai cinque disadattati di prima? Considera che a breve uscirà un doppio vinile di un gruppo malese. A parte gli scherzi, non coproduco facendo indagini di mercato o di gradimento, nemmeno tra i miei amici o contatti stretti. Non è mai un discrimine per me.

Temi che un giorno i tuoi album possano finire in vendita su Discogs a 1 euro e 99 centesimi? In quel caso butterò tutto nell’indifferenziata.

Il Natale è passato da poco, ma vorrei comunque chiederti: qual è il disco più natalizio di Fresh Outbreak? Quello che sotto l’albero farebbe una figurona, insomma. Quel cumulo di immondizia nell’artwork dei Kalk a me è sempre sembrato un albero di Natale. Punterei tutto su di loro.

Pensi che Fresh Outbreak faccia musica per giovani o musica per nostalgici trentenni/quarantenni? Ovviamente la seconda. Ci sono dei gruppi giovani con un pubblico giovane ma in genere l’ascoltatore ideale dovrebbe essere un mio coetaneo che non ha mai mollato con la passione e l’esplorazione della musica. Cioè, io.

C’è una questione morale nella musica, da parte tua? Ossia ti interroghi su che persone possono essere i musicisti che stai pubblicando? Non dico a livello di chieder loro il certificato del casellario giudiziale, ma quantomeno un giretto sul web per capire se hai sotto mano il disco di un pezzo di merda. Allora, io la penso così. In qualche modo tutti siamo dei pezzi di merda per qualche persona, tutti sbagliamo, tutti portiamo un fardello. Io sono cresciuto in un’epoca in cui il politically correct nemmeno si sapeva cos’era. Oggi ci stai un attimo a beccarti una shitstorm infinita dalla punk police. Ci si offende alla velocità della luce, si giudica con pochi elementi, condividi un buon articolo del giornalista sbagliato e sei ambiguo. Io ho studiato un bel po’ di storia, sono profondamente affascinato dall’anarchia come pure da un certo relativismo. La mia vita la valuto un soldo, figurati che cazzo me ne frega se quindici anni fa uno, una volta, mentre era totalmente ubriaco, ha fatto catcalling. Mi dispiace, ma è come se hai la casa a soqquadro, l’impianto elettrico sfasciato, i tubi che perdono e fai un bordello così per la mollica del pane che è caduta in cucina mentre mangi. Un brutto modo di sprecare le poche energie che abbiamo. Mi è capitato due volte di chiedere spiegazioni su un album. La prima volta c’era quest’album con un artwork peso e testi ancora di più. Ci siamo confrontati su Skype. I ragazzi, ne conosco due personalmente, mi hanno spiegato la lettura dell’album, ne abbiamo parlato e amen. Solo che sta cosa ha portato a degli episodi che mi hanno ferito mortalmente. Tutta la buona fede di cui ti parlavo prima, ovvero aiutare un gruppo, specie di persone che conosco, del giro del punk, che fa musica che mi piace, si è tramutata in un incubo. Etichette che mi boicottavano, gruppi che mollavano la coproduzione, hai voglia di stare là a scrivere e spiegare per filo e per segno. Tutt’ora c’è chi, nello screamo mittleuropeo, pone condizioni di aut aut. Alla faccia del dialogo, dell’inclusione, della cultura, del pensiero fine. Insomma ho subito in totale buonafede una valanga di merda, che ha ancora i suoi strascichi, e che mi ha ferito mortalmente. Se la scena è questa io non voglio farne parte, questo mi dicevo. Oltretutto era il periodo in cui, proprio per una scelta politica, avevo deciso di chiudere i social, per cui non avevo nemmeno voce. Un incubo, alla fine ho cancellato l’album dal catalogo ma appunto temo che sotto sotto quell’episodio ha ancora le sue conseguenze. Per cui tutto sommato adesso faccio una grande attenzione a non pestare più merda, più per tutelare le band che sono già uscite con me, le persone che orbitano nel mondo della musica e che mi stanno vicino e le etichette con cui ho collaborato più strettamente. La seconda volta è capitato la settimana scorsa, un Ep della madonna che sono felicissimo di far uscire.

In una delle tue ultime apparizioni su Grindontheroad hai scritto di un album che hai co-prodotto. Non ti è sembrato un po’ strano segnalare, da recensore, qualcosa di “tuo”?
Ahahaha su Grind On The Road si stava veramente bene. Un sacco di gente che ama la musica, intelligenti e attive. Attenti anche alle uscite delle etichette di altri membri. Ci si teneva a parlarne. Non per chissà quale cattiva fede. Come ti dicevo e come sai, non è la recensione scritta su Grind On the road che fa andare sold out l’album di cui hai coprodotto 20 copie per cui se proprio ti va bene avrai guadagnato 30 euro. Screamature era un format che avevo proposto e che curavo io, ma le recensioni non le scrivevo tutte io. Il pezzo poi lo pubblicavo io, quindi risultava firmato da me. Adesso se non sbaglio i ragazzi indicano con più precisione chi ha scritto cosa.

Fresh Outbreak Fest vol. 1, Parma. Era il 9 dicembre e ci hanno suonato Infall, Meo e LaFollia. Come hai scelto i gruppi e la location? E soprattutto com’è andata? Sei stato acclamato? Come ti dicevo sopra, le dinamiche dei concerti del norde le sto capendo adesso. Fare gli Infall a Catania significa fare 250 persone, qua no. Mettici anche il fatto che è il terzo anno che sono qua e nei primi due praticamente non si suonava praticamente mai e ciò implica anche una radicalizzazione ancora larvale nel territorio. È come se a un certo punto un’etichetta della Basilicata decide di fare un concerto random a Mantova. Non conosci tutte ste persone per fare del gran PR, non ti conoscono le persone. E’ stato più uno sfizio mio. La location non poteva non essere lo Splinter, visto gli ottimi rapporti che mi legano con i ragazzi oltre che per la condivisione di un modo di vedere la musica e il fatto che avevamo già collaborato fruttuosamente. Difficile trovare uno spazio più ospitale e amichevole. Per i gruppi ho usato un algoritmo mentale in base agli scarti stilistici, la vicinanza, insomma cagate così.
Il concerto, in sè, è stato clamoroso. Tutti i gruppi hanno dato il massimo ed è stato stupendo conoscere Meo e La Follia, con cui non ci eravamo mai beccati di persona.

Ti pesa stare lontano dalla Sicilia? I ragazzi di Tifone stanno tornando a fare grandi cose. Ti senti ancora uno di loro? Devo fare qua un discorso meno personale. Se un filosofo si chiede cos’è la vita, se esiste un senso, un siciliano non può non fare a meno di riflettere sulla propria sicilianità o, come direbbero certi nostri intellettuali, sicilitudine. È una condizione ontologica, una maledizione che attanaglia fatalmente il destino di ogni siciliano. E mi rendo conto che è un qualcosa di così intimo che già ad un reggino non gliene frega un cazzo di stare ad ascoltarmi. Quindi rimando gli eventuali interessati a dare una scorsa alla saggistica di Sciascia o Bufalino. Il punto è che a un siciliano costa stare in Sicilia e costa allontanarsene, gli costa l’esistenza stessa. E’ stretto da uno spleen totalizzante, da una condizione di programmatico esilio. Mi pesa non vedere le mie colline, i miei colori, mi è pesato vedere i miei affetti, gli amori, le amicizie, i legami, sfilacciarsi vilmente sotto il peso della lontananza. Per quanto mi riguarda, volevo andar via formalmente da Tifone nel momento in cui mi ero trasferito ma continuai a rimanere in chat per tutta una serie di motivi. Oggi probabilmente c’è chi tra la crew non sa nemmeno se sono vivo o morto, né gli interessa saperlo. Ed è inutile rammaricarsi più del dovuto.  Poi sì, sono ripresi i concerti e si sono messi in moto anche loro e seguo sempre con attenzione e partecipazione quel che fanno. Ma no, non mi sento uno di loro nel momento in cui non ho parola sulla programmazione, sulla gestione delle serata, ma com’è giusto che sia. Al limite sono una mascotte, un ricordo sbiadito, un fantasma.

Anche tu, come tanti, come me ad esempio, hai provato la strada di Twitter, ma il Twitter metal (a differenza del Twitter calcio) sembra non essere mai sbocciato qui in Italia. Come te lo spieghi? Credimi, non ho idea di cosa mi stai chiedendo. Avevo un profilo personale, che dovrebbe ancora esistere nell’etere. Usato per cinguettare non più di una decina di volte.Possa non sbocciare mai niente da Twitter!

Sempre per quanto riguarda i social, mi dicevi che avevi abbandonati, per creare poi un gruppo Whatsapp, e infine ci sei cascato di nuovo. Che importanza hanno i social network per Fresh Outbreak? Quando sono tornato mi è sembrato di avere a che fare con una manica di coglioni. Credimi, se si riuscisse a vedere quest’abominio per quel che è, la mattina non dovremmo avere il coraggio di guardarci allo specchio. Per le frasi fatte, i commenti acchiappalike, io che ti blasto, tu che sei arguto, io che ho la gran foto e tutte cose che ci allontanano costantemente dal senso delle cose. E’ uno slogan infinito, un meme perpetuo, una lotta di visualizzazioni e reaction la cui teleologia sfugge a tutti. Purtroppo gente come Baudrillard ci aveva pure avvisato, il virtuale si è mangiato il reale e sebbene io abbia provato ad uscirne fuori, nel momento in cui hai un prodotto da proporre non puoi fare a meno di dover sguazzare in questo enorme supermercato dove tutti dobbiamo venderci senza tregua. Ahimè lo devo alle band che coproduco.

Ti hanno mai accusato di aver trascurato gli affetti (di qualsiasi tipo) o altre passioni a causa di Fresh Outbreak? Piuttosto mi capita spesso di accusare gente di trascurare la mia passione, cioè Fresh Outbreak.

Te ne frega qualcosa dei siterelli o dei sitoni, dei giornaletti e dei giornaloni che trattano di musica? Te lo chiedo perché non mi pare che tu sia un condivisore folle di recensioni varie delle tue uscite. Frank, tu lo sai meglio di me. Ho scritto su webzine per un decennio credo, forse anche di più. E credevo avesse senso far emergere un album di livello e suggerirlo. In realtà le cose non funzionano così. Internet ha dato accesso a qualunque imbecille di attingere alle informazioni e ha eliminato il filtro del critico che è stato sostituito dall’opinion leader influencer. Ora, io so come recuperare musica nuova, so se un album mi piace o no, se lo ritengo valido o meno senza che sia il primo pinco pallino esaltato a certificarlo come tale. Per cui no, a un certo punto mi è venuto a noia tutto il mondo delle zine, ma che proprio non me ne frega un cazzo della loro opinione e non me ne faccio nulla della loro divulgazione. Quando avevo iniziato facevo molta promozione e mi interfacciavo con redattori che in realtà reputo tutt’altro che coglioni, gente di gran livello (parlo di Pessina, Giorgi, gente di GOTR, tu ovviamente), ma appunto è promozione, è uno schiamazzare in un enorme mercato con la speranza di attirare l’attenzione perché hai la premiere su Cvlt Nation. Non dico che non abbia la sua logica, specie se con l’etichetta ci vivi, ma non è  la mia. Esce un album, se il caso ti ha portato a seguirmi su Bancamp ti arriva la notifica, se sei curioso lo ascolti, se ti piace lo compri. Al di là di questo faccio un post su Facebook e uno su Instagram. Al limite condivido storie, che mi costa un click. 

Vendi più in Italia o all’estero? Vedi differenze sostanziali a seconda degli acquirenti di questa o quella nazione o siamo tutti sulla stessa barca piena di infiltrazioni? All’estero credo che abbiano un’idea diversa di supporto. Anche quando metto un album gratis magari ti arriva il tipo che ti lascia un tip per il download. Di contro ho album messi da parte, da anni, da italiani che non si sono mai più fatti vivi. Hai presente la gente che commenta un post con “una copia per me” e poi in realtà non se la comprano mai? Di sicuro noto una sensibile differenza fra il nord e il sud, ma immagino possa dipendere da uno scarto socioeconomico. In genere mi sento di riproporre qui la massima della End of Silence: se non compri dischi, non fare dischi. Se ogni musicista di band che ho co-prodotto comprasse un disco all’anno da me io andrei costantemente sold out. Che in fondo è l’idea del DIY, delle autoproduzioni, di una scena autarchica. Ma siamo tutti punk col culo degli altri. Gente che ti caga il cazzo costantemente per farti ascoltare il disco e tu dici ma porco dio ma l’hai mai comprato un disco da me? Ma la faccia proprio come il culo. Il problema della scena è che non basta ascoltare musica alternativa per essere intellettuali, anzi è pienissima di scemi come ogni altra branca della società, noi continuiamo a sentirci una specie di elite. Elite di sto cazzo, fa tutto cagare anche qua, con le dovute eccezioni, beninteso.

Sei un insegnante, hai grosse responsabilità verso i tuoi alunni. Pensi che abbiano letto quello che ci siamo detti in questa occasione? Conoscono Fresh Outbreak? Ecco, questa è una bella domanda. Non tanto se conoscono o meno la mia etichetta, perché non sanno nemmeno cosa sono le etichette. Sanno solo che su Spotify ci sono dei singoli da poter ascoltare. In passato mi è capitato che qualcuno cercasse il mio nome on line e gli spuntavano i miei articoli. O si incuriosiscono per le magliette che indosso o mi chiedono di fargli ascoltare la roba che ascolto in cuffia quando arrivo a scuola. Dicevo, è una bella domanda perché l’insegnamento oggi credo sia la cosa che mi definisce maggiormente e verso cui dedico le mie più grandi energie e illusioni. Ho fatto una fatica tremenda a far convivere un certo spirito anarchico con l’avere lo stato come padrone, con ciò che ne deriva, tipo il momento in cui devi dire ai ragazzi quanto sono belli i diritti umani o l’agenda 2030 o la globalizzazione o la digitalizzazione, come se vendessi enciclopedie. Anche qui, l’esempio di Sciascia mi ha aiutato molto e mi ha fatto convivere più serenamente con questa insanabile rottura dell’identità. Laddove i soldi del padrone li uso per il punk, che non è un reinvestimento, è proprio un obolo, e laddove provo a problematizzare in classe tutte queste pilloline altrimenti dorate.

Visto che talvolta ti spediscono dischi su a Parma, sarei curioso di sapere cosa pensano di Fresh Outbreak i tuoi genitori. E se sanno di essere essenziali nel rifornirti puntualmente. In realtà giù è rimasta solo parte della roba o qualcosa che mi faccio arrivare in estate mentre sono giù. Quindi non è che ci sia tutto questo flusso o questo sbatti. Ultimamente ho deciso di farmi spedire mensilmente tutta la mia roba qua, non solo la distro, per liberargli casa, che è letteralmente invasa di libri e dischi e per unire le mie uniche proprietà. Per il resto a loro non frega nulla. Ogni tanto mio padre mi chiede se ascolto la musica in cui si grida, ma è più un prendermi in giro che un interesse sincero. Anzi ti dirò che un momento di enorme distacco con mio padre c’è stato quando lo invitai ad ascoltare con me Significant Other appena comprato. Considera che avevamo sempre ascoltato della gran musica classica insieme. Quella volta si mostrò disinteressato, così come per tutto ciò che riguardò la musica nella mia vita, da lì sino ad ora. E considerando quanto è importante per me devo dire che continua a mancare l’occasione di conoscere suo figlio. Ma per carità, per citare il buon Terenzio, homo est e lo capisco.

Che ci fai su altacucina.com? Non provare a dirmi che è un omonimo. Può anche essere che in una notte di sballo io abbia aperto quest’account. Ma, come è noto per chi mi conosce, quando sono ubriaco poi non ricordo praticamente nulla. È strano perché proprio quest’anno mi sono dedicato alla cucina. È una cosa che sto apprezzando e che sto perfezionando.

Pensi mai di lasciare perdere la label, di mandare tutti affanculo e di avere meno pensieri per la testa? Penso spesso al suicidio, e quindi di mollare letteralmente la vita, al profondo senso di catarsi e liberazione che dev’essere. Figurati Frank se non penso di mollare l’etichetta.

Quale sarebbe il disco finale della vita di Fresh Outbreak? Qualcosa di esplosivo o di mesto?Qualcosa di Atmospheric Sludge misto a neo-crust. Epico e pieno di titanismo e languore. Una cosa alla Agrimonia. 

Foto di Giuseppe Picciotto
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