Supremazia, dominio, Germania – Brasile 7-1 al Mondiale 2014, chiamatelo come volete voi. Bene o male, la presenza di Tito Vespasiani ha oramai permeato ogni angolo dei social, lo vediamo quotidianamente. Che siano i suoi profili o quelli della sempre propositiva Everlasting Spew (ave Giorgio!), mediamente mette in campo competenza e quantità di contenuti e informazioni. E poi quando si tratta di tradurre il tutto in azioni reali, la sua rete si espande e si concretizza in men che non si dica. Prendiamo le tre edizioni del Death Over Venice, ideato assieme a Irene dei Psychotomy, in cui hanno suonato due miei feticci come Zhrine e Dead Congregation, oltre a tutta la crema del death metal italiano. Tra parentesi, alcuni tocchetti della suddetta sono stati offerti a loro tempo su questo umile e umido blog: Hellish God, Assumption, Demiurgon, Valgrind.
Ma fiondiamoci sull’omologa esperienza romana, che nella sostanza è anche una vera e propria agenzia di booking e la cui efficacia è facilmente testabile. Insomma, Tito porta le tavole del death metal a Roma e il pubblico non può che gradire. L’aveva già fatto a marzo, una sorta di grande riscaldamento per questo evento 9 settembre. Sulla carta ci sono state un paio di modifiche rilevanti, nonostante la stessa location (il Traffic) e un paio di gruppi in comune (Burial e Bedsore), ma il respiro è stavolta molto più ampio. Anche la presenza di due palchi ha ridotto enormemente i tempi, tanto che all’una i Mortiferum hanno finito il concerto secondo la tabella di marcia. Un festival con sei gruppi finisce in orario assolutamente accettabile. La notizia potrebbe essere anche questa, a dire il vero, ma se non aggiungessi altri dettagli positivi sarei ingiusto verso l’organizzazione collaudatissima. Ore e ore di (death) metal, da degustare spulciando nei forniti banchetti in cui si vendevano dischi. C’era anche la presentazione del primo numero della nuovissima fanzine Unholy Legions of Hell. Personalmente ho pagato obolo a Xenoglossy e Despise the Sun, ma tutti i gruppi avevano la loro postazione merch con album freschi o comunque risalenti al massimo al 2020. Procedo ora in caotico disordine, guidato dalle mie sensazioni e dalle mie pulsioni, come un tipico gabbiano del Tevere, con soste in cui ridacchio sonoramente e mi compiaccio della situazione. Ma sappiate che per la cronaca gli orari sono stati i seguenti:
GARDEN: SUUM
20:40-21:10 (30’)
MAIN: BEDSORE
21:15-21:45 (30’)
GARDEN: BURIAL
21:50-22:20 (30’)
MAIN: CEREBRAL ROT
22:25-23:10 (45’)
GARDEN: VOID ROT
23:15-23:55 (40’)
MAIN: MORTIFERUM
00:00-01:00 (60’)
Alcune caratteristiche hanno accomunato tutti i musicisti esibitisi e questa è una delle grandi vittorie del fest. Il livello di concentrazione e preparazione tecnica è stato altissimo, così come l’intensità raggiunta, ma con un range più ampio, dettato dal fatto che Bedsore e Suum parlavano parzialmente un’altra lingua artistica.
Ovviamente ci sono state anche soprese, perché altrimenti vivremmo una vita deprimente e prevedibile. Ad esempio i Suum così pesanti non me li aspettavo, conoscendo il loro album Cryptomass del 2020. Violenti, compatti, estremi. Non saranno ancora maestri totali di doom metal, ma stanno studiando per bene e mi hanno preso molto. I buoni Void Rot invece non li facevo così doom: sono stati profondissimi, con un suono impostato e denso. Il che mi ha leggermente stranito perché Descending Pillars e Telluric Dismemberment li ricordo per delle sfumature appena più accentuate. Forse il confronto involontario con chi in scaletta li precedeva (Cerebral Rot) e chi li seguiva (Mortiferum) li ha fatti risaltare come i meno appariscenti della serata, ma sempre in linea con la finalità del festival.
Altra lieta nota di stupore sono stati i Burial. Quelli italiani, quelli fighi. Me li aspettavo belli, ma così mi hanno proprio abbagliato. Li ho ammirati dalle viscere della calca crescente di fronte al palco esterno, quindi per dare un’idea prendo in prestito dal maestro Paolo Girardi il loop terrificante che rende irresistibile la copertina del loro ultimo album (anch’esso imperdibile). Ecco, ero proprio lì in mezzo. Non è un caso che abbiano già fatto macelli all’Helsinki Death Fest 2022. L’idea di fare death metal corposo, con più di un passaggio lento e strutturato, ma utilizzando l’HM-2, è trionfale in concerti del genere. Impatto clamoroso e rallentamenti pazzeschi. Da sposare prima di subito.
Passo alle certezze.
Sulla prima, molto personale, avrei scommesso qualsiasi organo del mio rivoltante corpo. Mi riferisco ai Bedsore, che sono nu piezz e core e per me sono già abbondantemente pronti per suonare ben più in alto nelle scalette dei concerti, come già fatto al Frantic. Soprattutto dopo quell’opera d’arte che è lo split coi Mortal Incarnation, soprattutto dopo che Stefano suona le tastiere anche dal vivo. Vorrei dirvi che va tutto bene e che non ho perso la testa per loro, che ho imparato a trattenere l’emozione, ma mentire non fa parte di me. Oramai è la terza volta che ho il piacere di partecipare a un loro concerto e ogni loro esibizione è sempre la migliore. È come se Death e Pink Floyd suonassero sullo stesso palco nello stesso momento, con i risultati imprevedibili che potete immaginare. A distanza di giorni vedo ancora cavolfiori blu danzarmi davanti agli occhi, probabilmente ciò è dovuto al fatto che il loro set non ha avuto quasi momenti di pausa e questa modalità di esecuzione li rende sempre più unici.
L’altra certezza, stavolta oggettiva e conclamata, sono stati gli headliner, i Cerebral Rot e i Mortiferum. Non che avessi dubbi, anche chi è stato il giorno prima a Lonate Ceppino ha narrato cose epiche. In men che non si dica anche noi avventori romani abbiamo divaricato all’inverosimile mandibola e mascella. Concertini speciali, più unici che rari per latitudini così meridionali, pura essenza di Kill-Town Deathfest: l’élite proveniente dallo stato di Washington, targata 20 Buck Spin – Profound Lore, è venuta a farci il culo. I più cafoni e diretti sono stati i Cerebral Rot, coinvolgenti al massimo, un valzer melmoso di riff splendidi. I Mortiferum invece sono proprio di un altro mondo: ho particolarmente gradito la cascata filamentosa di carne morta che riuscivano a materializzare nei loro rallentamenti. La maestria sta anche nel fatto che i loro set, i più lunghi della serata, sono stati sempre molto dinamici, con tutti i musicisti convintissimi (a ragione) dei propri mezzi e focalizzati sull’obiettivo. È proprio vero che il tempo vola quando ci si diverte, signora mia #dinosaurionesti
Se non si è capito, ve lo dico in altri termini: il Death over Rome per me è stato indimenticabile, ma ancora una volta non so se sono io a farmi trasportare troppo dal contesto o se una buona parte degli avventori ha vissuto l’evento come come me, con gli occhi a cuoricino. A giudicare dalla felicità che ho scorto sui volti, direi che la serata è andata più che bene. Un piccolo accenno a chi si è occupato dei suoni, perfetti per ogni gruppo e spaziali in particolare sui Mortiferum.
Ah, non ho fatto foto o video, non ho nemmeno visto chissà quanti cellulari alzati. Evidentemente tutti hanno capito l’antifona: se c’è Benedetta Gaiani in giro saranno realizzati scatti decisamente migliori. Facts.
… e Tito creò il Death Over Rome a sua immagine e somiglianza …

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