Punk nella testa, non nella cresta – Intervista agli Egestas

Che periodo di merda. Per fortuna ci sono le mie chiacchierate coi migliori gruppi che scorgo attorno a me. Quando poi si crea un contatto diretto, quando ci si capisce al volo (o quasi), ritrovo me stesso e mi reincarno in una forma di vita superiore. Da cinghiale potrei quasi avvicinarmi allo status di essere umano. Una sorta di Pinocchio con le setole ispide e il grugno irregolare. Va bene, l’immagine è già piuttosto fedele alla realtà. Questo per dirvi che gli Egestas sono entrati rapidamente nel mio cuore, lo hanno devastato e so che difficilmente ne usciranno. Oltre le rovine è stato pubblicato a fine 2019 per una cordata DIY di altissimo livello: ZAS Autoproduzioni RecordsRADIO PUNKSedation, Mastice Produzioni, Fresh Outbreak RecordsSpaccio Dischi, L’Oltraggio Autoproduzioni, End Of Silence Records, Terapia Intensiva, Choicesofyourown – diy zoneDischirozziDisastro Sonoro. [F]

Egestas è una parola latina che significa povertà. In che termini il concetto di povertà vi ha colpito tanto da farla diventare il nome della vostra band? Ciao caro, grazie mille per averci sottoposto delle domande, sei il primo in assoluto a farlo. Egestas ha diversi significati: povertà, appunto, ma anche necessità, fabbisogno, rovine. Il termine Egestas è stato notato nella frase “Quidvis egestas imperat” che viene tradotta come “la povertà estrema obbliga ad ogni cosa”. Povertà in senso lato, non proprio materiale, ma di voglia di fare, di contenuti, di anima. D’altronde performiamo per un bisogno indifferibile,fisico e psicologico. Non esistono molti altri terreni cosi fecondi come le arti, per poter affrontare demoni e districare nodi del profondo. Egestas significa necessità e, attraverso essa, la soddisfiamo: una pugnetta ontologica, insomma.

In generale quale gamma di sentimenti intendete toccare con la musica e le parole di Oltre le rovine? In particolare sui testi torneremo fra poco. La gamma, parlando non solo dei testi, è ampia, poiché non c’è nessuna limitazione a ciò che puoi provare e quindi esprimere attraverso parole, riff, proposizioni, eccetera. La mente poi è davvero
insondabile e ogni interpretazione è parziale ed inevitabilmente aleatoria. Così com’è l’uomo, così è la musica ed ogni altra creazione espressiva: pericolosa 🙂 Nascere, morire, rinascere e morire ancora, per poi rinascere, ci trova tutti d’accordo.

Il disco è uscito pochi mesi fa, ma sulla vostra pagina Facebook si legge che state in giro dal lontano 2016, in cui avete suonato varie date a Bologna. Non vi ha pesato in alcun modo non avere nulla di registrato? Come vi muovevate? Anto (chitarrista): Vedo che non ti sfugge niente! Gli Egestas sono nati in nella saletta autogestita di XM24 a fine 2015, quando io e Marcello (cantante degli A Place For Murder), abbiamo notato mancanza di spazio fisico all’inferno, e su come tutte le anime in pena si stessero riversando sulla terra. Non che fossimo stati i primi a notarlo, ma formare una band avrebbe sicuramente posto i nostri confini all’inferno. Sfortunatamente Marcello ha dovuto abbandonare  subito il progetto per motivi di lavoro, e nella prima versione degli Egestas c’erano Fabriz dei LMF (Lighting Mind Frequency) alla batteria, Noise dei Siege Stompers al basso, e Samantha dei Ferum alla voce. Abbiamo fatto tre concerti. Poco prima di registrare tre brani, la provvidenza divina ci è venuta in soccorso, impedendoci di farlo 🙂 Ho trascorso l’intero inverno del 2017 a suonarmi e risuonarmi i pezzi col pc, riarrangiandoli per due chitarre, e poi, sul finire dell’anno ho coinvolto il compagno di merende Ennio (A Place for Murder, Devoured by Vermin, Cruel Face of Life) alla batteria. Poco dopo si sono aggiunti Mattia (Devoured by Vermin) alla chitarra, Alessandro (Dune, Grindine, Icon of Hyemes, Frigotecniche) alla voce e infine Claudio
(Sardus Patter) al basso. Praticamente della vecchia line-up sono rimasto solo io, e quelli che ti ho appena nominati, possiamo tranquillamente dire che sono gli Egestas che trovate in Oltre le rovine.

Salta subito all’occhio (e all’orecchio) il minutaggio molto elevato delle vostre canzoni. C’è una scelta ponderata dietro? È la musica che si espande perché segue i testi molto lunghi o viceversa? Non abbiamo mai pensato che i pezzi fossero lunghi, o che lo dovessero essere. Nemmeno a livello percettivo ne abbiamo mai sentito il peso, nemmeno dal vivo. Ci sono band che con un pezzo di 5 minuti hanno già frantumato l’interesse e il coinvolgimento, mentre altre (Bongripper, Khanate, Godspeed You Black Emperor!, Sleep, per dirti le prime che mi sovvengono) [nota di Ale] possono non interrompere il flusso per 30, 60 minuti: il ricevente non accusa nemmeno il formicolio alle gambe, si lamenta che il concerto è durato troppo poco e ne vuole ancora, nonostante siano passate due ore. Tutto troppo, estremamente soggettivo. Unico imperativo: fai il cazzo che vuoi, ché domani sei morto.

Come vi ho già confidato, l’ascolto del disco per me è stato molto doloroso e ogni volta l’intensità della vostra musica mi travolge senza pietà. E io sono solo uno stronzo qualsiasi che ha comprato il cd. Voi cosa avete provato nel creare le canzoni di Oltre le rovine e cosa provate nel riprodurle nei concerti? Ahahah, e noi siamo i farabutti che lo hanno scritto e registrato, quindi infamaci senza pietà, se ti risolleva. Catarsi, vulnerabilità, ferocia, paura, umiltà, gratitudine, sorpresa: queste le prime parole, concetti che affiorano pensando a un live degli Egestas. Riversare tutta la negatività e i soprusi della società quotidiana, esorcizzare in musica, per cercare essere persone leggere e positive nella realtà.

Cosa rappresenta la copertina? Mi piace come si “interseca” col logo. Il disegno in copertina l’ha fatto Matteo di Inchiostro Lisergico, mentre il logo fu disegnato all’epoca da Angelica, batterista dei Ferum. Pur appartenendo al passato, lo abbiamo tenuto, dandogli un nuovo significato. Antonio ho creato il layout finale, aggiungendoci la spirale che appunto si “interseca” con la visione che volevamo dare. Fondamentalmente dovrebbe rappresentare la natura che si rivale sulla tecnologia, ma ognuno ci vede qualcosa di diverso. Addirittura qualcuno pensa che quell’uomo sia Gesù. Sicuramente è un povero Cristo che ne ha passate tante, ma finalmente sta ritornando al suo stato iniziale di pace interiore col mondo.

Cosa significa per voi la frase di Albert Caraco con cui aprite l’album? Tra l’altro è un nome ricorrente per me perché ho scoperto da poco che esiste anche una band molto brava che si chiama così. Ale (cantante): Gli xCaracox sono devastanti e Claudia è una forza della natura, nel senso di Lord of Flies, per capirci eheh. Abbiamo passato
momenti ebbri nei tempi, pure a rileggere assieme brani di A.C., nel suo mitico appartamento, che condivide con un’altra creatura d’eccezione, da bestiario mefistofelico, detto anche Franco… mi mancano come non mai oggi questi triangoli al Quadraro. Perdonami la svisata, ma finirà anche da bere. Per tornare a noi, la frase di
Albert Caraco è estrapolata da quella gemma oscura che, tradotta in italiano, è conosciuta come Breviario del Caos, pubblicato opportunamente da Adelphi. Tale testo racchiude una serie di considerazioni cristalline, pura escatologia di colore nichilista, sul
genere umano e il suo destino immanente ed inevitabile. Caraco, qui profeta gnostico e di una severità greve, senza compiacimento, rivela verità lapalissiane. Detto questo, il testo di Caraco dice esattamente quello che dice, senza sfumature di significato, fornendo un veloce prologo al viaggio che si percorrerà per vedere cosa c’è Oltre le Rovine, sempre che ci sia.

Ci sarebbe da analizzare tutto l’insieme dei testi, a cui avete dato moltissima importanza, ma non vorremo togliere agli ascoltatori il piacere della scoperta, vero? Giusto alcuni passaggi. Il virgolettato nel cuore della prima canzone è ancora di Caraco? I testi sono stati interamente scritti da Alessandro, dopo che Antonio ha provato a spiegargli qualcosa riguardo al concept e l’impronta che voleva dare ad Egestas nel primo capitolo. Il bello dei testi è che possono prestarsi a interpretazioni personalissime, soggettive, ed è questo che rende caleidoscopicamente intriganti e, a
volte, illuminanti le espressioni del genere umano; poi, a dirla tutta, spesso chi scrive, dipinge, performa etc. non segue per forza una linea retta e nitida, tutt’altro. No, a parte l’incipit del primo pezzo non vi sono altre riprese dai testi di A.C. in altri brani, quindi il virgolettato è farina del nostro sacco.

Sempre nel Dominio dell’Incoscienza parlate degli uomini come “spettri di un genere umano che ormai è solo un ricordo”. Qual è stata allora l’epoca in cui gli esseri umani erano migliori? Ale: In verità è Il dominio dell’incostanza [ops… lascio il refuso perché me lo merito] ma la tua modifica mi appare come un lapsus ricco di speranza e/o disperazione, la qual cosa mi fa sorridere. L’essere umano, per citare qualcuno, è solo un virus con le scarpe, quindi, tolte le scarpe, non cambia molto la faccenda. Detto questo, a mio parere, la civiltà umana, in particolare quella occidentale, è stata fondata e costruita sul sangue dei propri simili, sul dolore e la sopraffazione, quindi no, in generale direi che non intravedo grandi momenti ameni nella storia della specie, tanto meno poi, ma sarei felice di essere contraddetto dai fatti.

 

C’è un inizio o una fine oltre le rovine? Prevale un senso di redenzione o di (auto)distruzione? Penso a Stillicidio ed Egestas, i cui versi sembrano in contrasto: “io muoio” nella prima, “io non morirò” nella seconda. Ale: Mah, caro compare, penso proprio che ognuno potrà decidere da sé davanti a questi bivi, a prescindere dal testo. Per quanto riguarda il contrasto che mi segnali, quelli sono due momenti distinti, anche temporalmente, e la morte a cui mi riferisco è interiore, legata alla strategia del compromesso e all’erosione della dignità, non all’inevitabile capitolo della vita a cui tutti giungeremo. La paura della morte m’è sempre sembrata una gran fregatura, poiché è
semplicemente il corso naturale degli eventi e pure un gran sollievo in potenza, visto che ci abbraccerà tutti quanti. Quindi, dai, non tentenniamo e accettiamola, spremendo ogni attimo che ci separa da quel momento.

In Stillicidio c’è una frase su cui da qualche mese mi interrogo: “suggi ambrosia dal capro a due zampe”. Potete darmi un’interpretazione autentica? Quell’immagine si riferisce a ciò che ognuno di noi fa, chi più e chi meno, ogni giorno. La grande tristezza, che tanto per cambiare prevale, sta nel fatto che oggi non solo succhiamo, suggiamo, ma facciamo sì che dell’ambrosia non vada sprecata nemmeno una goccia, leccando avidi il pavimento quando è il caso; inoltre, volontari aspiratori, diamo una “mano” a chi non vorrebbe partecipare, per far sì che tutti suggano dall’obelisco, volenti o nolenti. Entusiasmo, figlioli, entusiasmo!

Perché Principio sta alla fine e la durata è indicata sul disco col simbolo dell’infinito? La tirate per le lunghe quando la suonate dal vivo? Dal vivo non la suoniamo ahahahah. L’ha registrata Anto col pc in un tempo indefinito durante l’inverno post-rottura della prima line-up, in un momento davvero nero, come la sfortuna che si fa la tana dove non c’è luna, in uno stato talmente alterato che se ci fai caso si nota e non poco. Alla morte qualcosa lascia il corpo e si muove in una nuova dimensione. La vera nascita di qualcosa è la sua morte.

Credete che dal vostro album emerga chiaramente quello che siete, quello che pensate, i vostri ideali? C’è un messaggio politico, in senso stretto o in senso lato, negli Egestas? Per forza di cose, non dovendo rendere conto a nessuno se non a noi stessi, quello che scriviamo non può prescindere da quello che proviamo, pensiamo, supportiamo e detestiamo: solo i fatti contano e le opinioni durano un sorso di vino. A livello politico ci piacerebbe citare il manifesto di Divine, ma se l’ironia era “una scena morta” già prima, ora hanno riesumato le spoglie e bruciato le ossa. Supportiamo il DIY, schifiamo ogni forma di intolleranza e temiamo terribilmente la stupidità e l’ignoranza.

Siete un gruppo che mischia vari generi con esiti molto positivi. È giusto secondo voi guardare con diffidenza al black metal, scena in cui aleggia un alone di sospetto e ambiguità rispetto a ideali politici di estrema destra? La caccia alle streghe è un gioco doloroso che non finirà mai, purtroppo, e l’invidia non smetterà mai di farci scannare l’un l’altro. Detto questo, in qualunque versante politico uno possa identificarsi, potrà propagandare la sua “verità” attraverso qualsiasi mezzo e genere, che sia black metal, pop, aor, grind etc. Se uno dovesse fare le pulci, oramai uno sport sterile assai diffuso, ad ogni band o artista, in pochissimi ne uscirebbero puliti abbastanza per
evitare l’inquisizione della massa. Spesso gli estremi coincidono, ho notato. L’uomo è una bestia incoerente, contraddittoria e subdola, ma anche generosa, empatica e onesta, dipende tutto dal momento e dal contesto. Con diffidenza va approcciato tutto, in primis quello che vediamo nello specchio.

egelive

Poco tempo fa ho intervistato con grande piacere quel fustacchione di Carlo Altobelli. Come è andata con lui? Che rapporti avete instaurato con i suoi gatti? Dal punto di vista tecnico perché non avete registrato le voci da lui? Ale: Carlo è un professionista con una grande umanità e uno smartphone incandescente. Grazie ai cari tatoni Crisis Benoit siamo venuti in contatto con i Toxic e Carlo, che oltre a lavorare, pure
costantemente, con band che rispettiamo, trova il modo di fare uscire dallo studio il meglio, anche con idee a livello artistico non indifferenti e mirate. I gatti agiscono come tanti Mr. Pickles, infondendo mantra felini affinché tutto vada per il verso giusto. Abbiamo un video dove due di loro hanno pensato bene di accoppiarsi, confermando che eravamo nel posto giusto al momento giusto. Le voci di tre pezzi sono state registrate con lui, nonostante le lungaggini inevitabili nella registrazione degli strumenti e una bronchite cosmica di Ale che ha dato colore ad almeno due pezzi del disco. Per
quanto riguarda Egestas, la canzone, abbiamo rimediato da un altro professionista e compagno d’avventure, ovvero Raffaele “Raffo” Marchetti, con cui ho condiviso il furgone per chissà quante volte.

Sul disco sono indicati solo i vostri nomi, su Facebook neppure quelli. Per voi è davvero indifferente l’indicazione o meno dello strumento musicale che avete suonato? C’è un motivo particolare dietro questa scelta? Dai, allora qualcosa ti sfugge! I nostri nomi su Facebook ci sono, e anche gli strumenti che suoniamo. Di sicuro sarebbe bello in futuro ospitare altra gente nel nostro progetto, vedere gli Egestas come un collettivo di gente che la pensa come noi, piuttosto che una band classica con foto fighe e zero contenuti. Ad Alessandro sarebbe piaciuto essere segnalato come “ributtante demiurgo demente”, ma a noi non andava bene ahahahahaha!

Che significa per voi produrre un disco assieme a un sacco di piccole e agguerrite label DIY, considerando che anche tra di voi c’è qualcuno che ci sa fare nel campo (Antonio e Choices of your own)? Anto: La scelta è stata dettata proprio dal fatto che da sempre ho supportato la scena DIY, e facendo co-produrre il disco dalla scena stessa, questa sarebbe stata supportata a sua volta. Significa quindi che la “scena” stessa si autoproduce. In più è stata una scusa per riallacciare rapporti con vecchi amici che non sentivo da tempo, e conoscerne di nuovi. Il mondo delle autoproduzioni ha cambiato
completamente il mio modo di concepire la musica, nel lontano 1997, quando dalle mie parti non arrivavano neanche i cd dei Nirvana. Il punk-hardcore è diventato uno stile di vita che non ho mai abbandonato, anche se ho perso tutti i capelli ed ho la barba bianca.
Molti miei coetanei hanno fatto anche meglio, e fortunatamente in rete si trovano documenti e documentari su tutta la scena punk-hc, che non sto a ripetervi. O lo sapete, o siete fuori. Punk nella testa, non nella cresta!

Qualcuno di voi ha partecipato al videoclip degli amici Crisis Benoit. Ricambierete il gesto facendoli apparire in un vostro video in futuro? Ennio (batterista): A questa domanda mi permetto di rispondere io perché son stato l’unico Egestas ad averne preso parte, con grande piacere. È stata un’esperienza unica, divertente e allo stesso tempo stremante a causa di alcune riprese all’alba. Non abbiamo mai discusso seriamente della
creazione di un video, ma nel caso decidessimo di farlo, saremo felicissimi di coinvolgere e sottoporre alle peggiori angherie i nostri fratelli Pavel e Domes ahahah! Naturalmente per le riprese e la direzione non potremo non rivolgerci al mitico Luciano Attinà / Cieli
Oscuri Autoproduzioni, che ha reso possibile la realizzazione del videoclip dei Crisis Benoit.

A causa dell’epidemia che sta mettendo a ferro e fuoco tutto il mondo vi sono saltate diverse date, come il Semirutarun Urbium Cadavera dello scorso febbraio o il giretto in Germania a fine aprile coi Crisis Benoit. Ironia della sorte, la locandina del tour tedesco è molto appropriata ai tempi che corrono. Come state vivendo questa nuova e inedita fase della nostra storia, dettata essenzialmente dall’emergenza sanitaria? Quello che vedete attorno a voi ha mutato la prospettiva che avete fissato in Oltre le rovine oppure il mondo è sempre uguale, non cambia mai un cazzo? Forse la confondi con il flyerizzo che ha girato qualche mese fa in cui cercavamo di chiudere alcune date. La locandina ufficiale del tour non è mai uscita, ma la pubblicheremo giusto per il gusto di farlo [nel frattempo è uscita]. Purtroppo viviamo in comuni diversi, questo non ci permette neanche di vederci furtivamente,
Claudio, il bassista, addirittura è rimasto bloccato in Sardegna chissà fino a quando. Comunque, tutto peggiora e sembra che la maggior parte dell’umanità non vedesse l’ora per scavare. Chi paga è sempre chi ha pagato prima, con una forza di gravità direttamente proporzionale a quanto stava già in merda prima. Chi stava meglio starà divinamente, grazie al sacrificio di qualche miliardo di persone.

A dicembre, però, avete percorso tutta l’Italia, arrivando a suonare anche in Sicilia, Calabria, Puglia. Sarebbe stato un miracolo vedervi in Basilicata, ma rileggendo la lista di posti in cui siete stati mi viene da farvi i complimenti ugualmente. Com’è andata? Che cosa avete imparato dagli incontri fatti? È stato un lavoraccio iniziato a metà agosto, ma per fortuna abbiamo incontrato persone davvero splendide, che ci hanno aiutato. Le due settimane passate al sud sono state una festa continua, in tutti i sensi, e siamo felici che il nostro lavoro abbia portato a frutti inestimabili. Quando fai un tour nel Sud Italia, se non lo conosci già, impari con i tuoi occhi la solidarietà che esiste fra le band e le persone che partecipano alle iniziative. Non c’è spazio per invidie e maledicenze varie.

È difficile ed è già strano parlare oggi di spazi di aggregazione mentre ci stanno dicendo in tutti modi che aggregazione equivale a malattia, in tempi di coronavirus. Eppure vi chiedo: come avete vissuto la fine di XM24 a Bologna? Ale: La fine di XM24 per ognuno di noi è stata, e tutt’ora è, la scomparsa di uno spazio d’importanza non quantificabile. Parlando personalmente, avendoci lasciato molta vita ed avendocela
arricchita negli anni addietro, la mancanza del posto, così familiare, si riconduce a una perdita sentimentale notevole. Lo spirito continua e, se non in Via Fioravanti, XM continuerà in altre forme e in altri posti. Scusami se non mi addentro in aneddoti e storie di vita vissuta, ma l’unica cosa che mi viene in mente ora è Fiorenza, la Fiò, a cui dovrò sempre molto.

Siamo nel 2020: quali gruppi hanno segnato gli scorsi anni e quali invece renderanno migliore il futuro? Sono tanti i dischi importanti che escono, a più livelli, ti diamo dei nomi così facciamo prima.
Ale: S/T di Arca (2017)
Anto: Tornare ai resti dei Contrasto e Caligula di Lingua Ignota
Mattia: Le nuove uscite dei Tool e dei Cattle Decapitation
Claudio: Calculating infinity dei Dillinger Escape Plan e Jojo Mayer come band innovativa
Ennio: nello scorso decennio Wolves in the throne room, attualmente potrebbero dare parecchio gli Amenra.

Tanti saluti, ragazzi: fatemi una previsione per il futuro. Arriveremo a fine anno? Ricominceremo a vivere nella solita merda o rimarremo a galla nella diarrea condita al coronavirus? Grazie a te per esserti sbattuto a farci domande interessanti
e per nulla scontate, ed averci dato occasione di fare due chiacchiere. La scelta rimane tra amore e paura, come diceva Bill Hicks in chiusura di “It’s just a ride”, quindi vediamo come decideremo di farla finita, o iniziata, ovviamente.

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