Intervista a Void (Feed Them Death, Bune, Rising Bear Flottilla, ex Antropofagus)

Quante volte ci siamo trovati davanti a soggetti che hanno solo lontanamente sfiorato la storia, con gruppi scarsissimi, e poi sono tornati in tempi recenti cercando di capitalizzare ingiustamente una sorta di status dovuto solo all’anzianità? Dire “io c’ero” non basta. Il musicista che ho intervistato, invece, c’era – e come se c’era! – nella seconda metà degli anni Novanta con gli Antropofagus. E non ha pensato neppure per un momento di vivere di nostalgia o furbi richiami a quel passato. Adesso c’è Feed Them Death, al secondo album e con tante idee, per giunta chiarissime. Panopticism: Belong / Be Lost esce ad aprile per I, Voidhanger Records e può essere acquistato in formato cd su questo sito. [F]

Ciao Void, nel 2018 in una recensione di No Solution / Dissolution sul mitico blog (prematuramente morto) 200parole ti definirono “giovane bassista”. Ti sei sentito lusingato? Che rapporto hai col tempo che scorre? Ahah, ricordo bene il blog, e risi parecchio, nel leggermi definito “giovane bassista”. Sono ormai entrato in una fase della mia età dove mi viene indistintamente dato del “lei” ad ogni occasione quando torno in Italia, quindi da qualche parte deve essere trasparito che così giovane ormai non lo sono più. Ho iniziato a suonare il basso nel lontano 1993, fa effetto pensarci così. Ricordo che quando lessi la recensione su 200parole pensai quale fosse semmai il modo migliore per definire in termini di età e “carriera” un bassista oggettivamente vecchiotto, sì con precedente esperienza alla voce e drum programming, ma che si sia poi alchemicamente trasformato anche in chitarrista e solo recentemente, dal 2016 per esser precisi, e solamente per il fatto di avere capito che in fondo con la maggior parte dei chitarristi non sono mai andato d’accordo e allora tanto vale fare tutto da solo. Col tempo che scorre tendo ad avere un rapporto ambivalente, se si fa una distinzione tra quantità e qualità del tempo: certe “sezioni” del tempo sembrano viaggiare a una velocità differente da altre. La velocità con la quale in generale gli anni si stanno avvicinando al precipizio sembra aumentare di giorno in giorno, come se nella discesa l’accelerazione aumentasse in maniera esponenziale: tuttavia, certe altre pagine della mia vita sembrano andare parecchio più a rilento e anzi mostrano un ritorno ciclico a punti di partenza che avrei creduto fossero nel passato eppure continuano a palesarsi nel presente sebbene a livelli sfalsati. Non credo il tempo sia in linea retta ad ogni modo, ma più una specie di movimento epigenetico dove si ritorna spesso a varcare certe coordinate seppur in tempi e luoghi e circostanze che nel frattempo sono cambiate.

Partiamo dall’inizio, giusto per andare con ordine. E inizio (di una storia importantissima) vuol dire Antropofagus. C’è qualcosa che ancora non è stato detto del seminale No Waste of Flesh? Quale aspetto di quel disco e di quella parte di carriera degli Antropofagus non è quasi mai preso in considerazione? Sono sicuro che ancora oggi la bellezza di quel disco ti procura gioia e ti fa arrivare complimenti da ogni dove! Beh, ci sono molte cose non dette su No Waste of Flesh, ma nessuna di queste cose aggiungerebbe o toglierebbe niente a ciò che quell’album e quel periodo della mia vita hanno significato. Per me personalmente rappresenta una fase della mia vita che non tornerà più, sia in termini musicali nel senso di contesto più ampio, ma anche ovviamente personali, dato che sono entrato in studio che non ero nemmeno maggiorenne. In termini di contesto musicale inteso ad ampio raggio, per chi non c’era in quegli anni è difficile capire la portata di un album come NWOF sulla scena italiana, dato che si esistevano altre band valide in ambito death metal, ma probabilmente e per uno strano allineamento astrale, noi abbiamo contribuito in maniera più significativa all’esportazione della musica italiana sul circuito internazionale. Erano tempi diversi, quando una band riusciva a fare qualcosa tutta la “scena” cresceva e ne traeva beneficio, non come adesso. Credo sia un album che nonostante le ingenuità, sia di produzione che compositive, è invecchiato bene. Paradossalmente credo sia proprio il fatto che sia stato registrato in un era e un luogo così lontano dagli standard di produzione attuali (all’epoca il nostro sound engineer ne sapeva di death metal quanto io ne so di fisica quantistica) ad avere marchiato il disco con uno strano e azzeccato retrogusto di morte.

Cosa è successo negli anni immediatamente successivi al primo full? Leggendo gli aridi dati, chi all’epoca non c’era potrebbe pensare a due anni per partorire un solo EP, Alive is Good… Dead is Better, in cui eravate rimasti nella band solo tu e Argento. Ma soprattutto non si hanno notizie di te nel periodo post-Antropofagus. Per circa quindici anni non hai “timbrato il cartellino” con nuova musica, almeno per quanto riguarda il metal. È stato allora che sei andato in Inghilterra? A proposito, come se la passa oggi un italiano nel Regno Unito? Dopo l’uscita di NWOF facemmo parecchi concerti e cominciammo a preparare nuovo materiale, tuttavia avvenne l’allontanamento prima di Rigel [batterista], e poi di Francesco [chitarrista]. Io e Argento cominciammo a lavorare ad AIGDIB, che doveva essere l’antipasto del secondo album vero e proprio, per il quale avevamo già quasi tutti i pezzi pronti, ma che non è mai stato ufficialmente registrato. Dico ufficialmente perché sia il titolo che avrebbe dovuto avere (Bloodshed Theatre) e alcuni riff sono finiti nel primo album con Feed Them Death. Tutto si mise poi in pausa per via del fatto che io ho speso molto tempo in riabilitazione per via di uno stupido intervento andato male, e le cose sono poi diventate più impegnative per Argento con gli Spite Extreme Wing. A un certo punto nel 2006 io e Argento parlammo di riformare Antropofagus, ma ricordo che optammo per il no, dato che avremmo preferito consegnare Antropofagus alla loro piccola storia e avremmo trovato intellettualmente poco onesto il seguire la scia di band che in quegli anni si stavano riformando. Immagino che quel che successe dopo dipese molto dall’espansione nell’utilizzo dei social media, che fecero capire ad alcuni di noi che Antropofagus aveva una specie di cult status nel circuito underground e la gente non si era dimenticata di noi. Cosi successe che nel 2009 Francesco contattò sia me che Argento per riformare la band. Ne parlammo a quattr’occhi e decidemmo di provare a comporre qualcosa, ma fu immediatamente chiaro che avevamo una visione musicale sul futuro del progetto completamente agli antipodi. Una volta qualcuno mi disse che il segreto di No Waste of Flesh stava nel fatto che c’era abbastanza di mio per rendere vario e interessante lo stile compositivo derivativo di Francesco, e abbastanza di Francesco per rendere orecchiabili le mie stranezze. Credo sia interessante vedere il risultato di come poi le cose sono andate effettivamente a finire ascoltando le recenti incarnazioni della mia vecchia band, a confronto con le ultime cose strane che sto facendo con Feed Them Death. Ho rimpianto molto la scelta di avere accettato di cedere l’uso del nome: era un progetto che ho fatto nascere io e al quale tenevo così tanto da non volerlo riformare per non vederlo impeciato nel magma delle reunion di inizio millennio. Così, un po’ preso dalle cose della vita, ho deciso di allontanarmi dalla musica suonata e dedicarmi ad altre cose. Sono a Londra ora da quasi quindici anni, non saprei dirti se mi piaccia oppure no, non l’ho davvero mai capito. Ho visto la città cambiare parecchio, e a volte mi manca l’Italia, Genova in particolare, anche se sono ben conscio di quanto il mio essere nostalgico giochi su questa cosa – Genova per me sarà sempre una città che sarà davvero bella solo nel ricordo e nella mancanza, dato che odierei tornarci a vivere.

Risalgono al 2003 alcune registrazioni di Rising Bear Flottilla, uscite solo negli ultimi anni su vinile assieme a roba più recente. Di che si tratta e perché non si trova praticamente sul web, in formato digitale? Nel 2003 Argento e Morgan Bellini (Vanessa Van Basten, Angela Martyr etc) cominciarono a gettare le basi di un progetto musicale noise e sperimentale, che per qualche strano motivo finì nel dimenticatoio. Successe che nel 2016 ne parlammo tra amici a cena, ricordando di quanto strani fossero quei pezzi, e così decidemmo di provare a dissotterrarli. I file erano chiusi e non più editabili, dunque l’unica cosa che potevamo fare era aggiungere frequenze a quanto già fatto. È stato allora che Argento mi chiese di rilavorare ai pezzi, e fu quello che segnò il mio tardivo riavvicinamento alla musica suonata, dopo tanti anni. Dopo avere aggiunto un po’ di frequenze col basso, lavorai con gli altri ai testi e decidemmo di optare per una cosa che poi avremmo chiamato “evokismo”, una specie di morra con le parole per decontestualizzare e ricontestualizzare il significato di frasi senza apparente relazione tra di esse. Il progetto ci divertì, e così fu presa la decisione di finalizzare il tutto e registrare le voci. Abbiamo stampato 500 copie in doppio 12” e più o meno sono andate via tutte, e considerato il fatto che era senza label e solo attraverso passaparola credo sia stato un buon risultato. All’inizio si decise di aspettare a pubblicare in format digitale di modo da dare priorità alla vendita delle copie fisiche, dopodiché credo che si siamo semplicemente dimenticati di mettere su Bandcamp. Chissà, magari un giorno lo faremo, in fondo è un progetto del quale vado molto orgoglioso.

Cosa ti ha spinto a tornare, nel 2017, con Bune (assieme al mitico Christian Montagna) e soprattutto Feed Them Death? Ci sono stati incontri o eventi che hanno determinato la tua scelta? Bune e FTD esprimono varie sfaccettature di te oppure riprendono gli stessi temi? Come forse si evince da quanto detto finora, il mio riavvicinamento alla musica suonata è avvenuto a tentoni e in vari periodi, fino a che collaborando su RBF non mi sono reso conto che avevo ancora qualcosa da dire. Non ho mai smesso di ascoltare musica estrema, e ho cominciato a giocare con l’idea di lavorare a un progetto nuovo, semplice e diretto, grind-core vecchia scuola, tanto per vedere come sarebbe andata. Mi sono messo in contatto con alcuni musicisti su Londra, ma il mio contatto col prossimo mi ha immediatamente ricordato di quanto non faccia per me lavorare con altra gente. Lavorando da solo, mi sono anche detto che non valeva la pena imporsi paletti di alcun tipo, non dovendo cercare compromessi di alcun tipo per convincere nessuno: cosi è nato Feed Them Death. Nome tra l’altro preso a prestito da un testo dei Bad Religion (da anni una delle mie band preferite) perché mi piaceva l’idea di attingere ad un vocabolario lontano dalle solite stronzate metallare. Il contatto creativo con Christian è avvenuto perché oltre al fatto che è un caro amico, mi ricordavo della sua performance vocale con Cast Thy Eyes e cosi gli chiesi di partecipare a uno dei primi pezzi che composi con FTD, sia come linee vocalic he come testi. Sulla scia di quello decidemmo che avremmo volute creare un progetto a parte, ma parecchio più lento e dissonante, e cosi nacque Bune. FTD è per sua natura un progetto dove ho sentito negli anni l’urgenza di investire parecchio tempo e risorse, mentre Bune è quello che sia io che Christian consideriamo un progetto fedele solamente ai nostri tempi creativi nel rispetto del flusso naturale delle cose: per intenderci, componiamo solo quando lo vogliamo, registriamo quando riusciamo e abbiamo qualcosa da dire, e mai faremo qualcosa solo perché “è da un po’ che non facciamo qualcosa”. Entrambi i progetti esprimono una parte di me, la differenza tra i due è solo nel dosaggio delle parti di me che sono chiamate in azione: in Bune l’approccio musicale è totalmente di improvvisazione, cosi tanto che non saprei dove mettere le mani se dovessi mai provare a ri-registrare o suonare dal vivo. Molto di questo è nel tempo fluito anche in FTD (molti pezzi sono improvvisati anche lì), ma lì c’è più un elemento di controllo e direzione volontaria del progetto. Diciamo che per me sono entrambi canali complementari per esplorare la natura oscura del mio processo creativo.

No Solution / Dissolution è il nome del tuo primo full come Feed Them Death, ma anche dell’ep/demo uscito nel 2017 come antipasto, diciamo. Che cambiamenti ci sono stati tra i brani in comune tra le due uscite? L’ep non era onestamente mai stato pensato per essere pubblicato, ma era più un modo per me per vedere se ci fossero labelsinteressate a lavorare ad un progetto più a lungo termine. I pezzi nell’ep sono i primi che ho buttato giù, dopodiché si sono aggiunti gli altri 7 pezzi a completare quel che considero la prima fase della vita di FTD. Aggiungendo i nuovi pezzi e lavorando al mix abbiamo portato i vecchi pezzi più “a livello”cosi che risultasse tutto più organico, e ho chiesto a Deimos (Will’o’Wisp) di fare da seconda voce in uno dei pezzi presenti nell’ep, aggiungendosi cosi ad Argento e Christian che già avevano collaborato con me in precedenza. Ho poi espanso il contesto lirico e lavorato alla grafica. A risultato finito, non mi sono sentito di considerare l’ep come un prodotto a parte, ma ho visto il tutto come un tutt’uno, e per quel motivo optato per non cambiare il titolo.

Credi che No Solution / Dissolution sia stato compreso bene dagli ascoltatori? In fondo è un disco piuttosto diretto. Bella domanda, alla quale rispondo con un’altra domanda: è davvero cosi diretto? Credo che l’album sia stato ben accolto, ma anche riposto all’interno dei canoni di un genere che (mea culpa) non ho spinto abbastanza a che si notassero per bene gli elementi di novità che la stesura dell’album intendeva proporre. Da un punto di vista tematico, l’album si rifaceva agli scritti di Marcuse e in particolare “L’uomo a una dimensione”, tuttavia credo di essere stato troppo timido nel farlo trapelare. Musicalmente stessa cosa, molti pezzi contengono elementi innovativi nel genere, che tuttavia non sono stati evidenziati abbastanza, e non sto parlando di produzione, ma di songwriting. Era come se qualcosa in più dell’old school death-grind bollisse in pentola, ma non era ancora pienamente maturo per essere esplicitato.

Quando hai capito FTD si sarebbe evoluto rispetto a quanto sentito su No Solution / Dissolution? C’è voluto del tempo o fin dall’inizio c’erano degli aspetti che non ti soddisfacevano? Riascoltando il primo album, mi rendo conto perfettamente del fatto che sia un buon esordio, con tracce memorabili e un buon groove in generale, ma come accennato forse rimpiango un po’ il fatto di essere stato timido con la sperimentazione. L’attention span degli ascoltatori di oggi, me compreso, tenendo in considerazione il volume di uscite sul mercato, è parecchio ridotto, ed è come se avessi inserito cose strane che però richiedessero ripetuti ascolti per essere decodificate: un mio vecchio vizio, quello di essere troppo ermetico. Quando cominciai a comporre Panopticism, il primo non era ancora uscito, per cui non mi sono appoggiato a giudizi critici terzi di alcun tipo – semplicemente sapevo che volevo portare FTD verso altri territori, e non avevo tempo da perdere in cazzate.

FTD è una one man band, ma hai collaborato con diversi musicisti che hanno messo del loro, qua e là nel disco. Parlami un po’ di questi interventi esterni. In tutta la mia sete di sperimentazione, una cosa non è mai cambiata nella mia testa, ed è una specie di mission statement che ho sempre voluto fosse valido per FTD – quello di essere un progetto solista, ma anche una specie di cooperativa dove venissero a incontrarsi e collaborare amici e compari della scena di musica estrema. Come fatto trasparire, se da un punto di vista compositivo, specie negli anni, sono diventato parecchio indipendente e testardo, credo ancora molto nel fatto che persone e musicisti a me cari sappiano trovare lo spazio per aggiungere valore a quel che faccio, all’interno dei limiti creativi preposti dai pezzi che ho composto, ma anche ex-novo. Per esempio, quando Christian ha composto le parti vocali per un pezzo sul primo album, le è andate a registrare senza che io sapessi cosa avrebbe cantato: sapevo solo che avrebbe cantato durante i primi 50 secondi. Sul nuovo album ho avuto il piacere di collaborare nuovamente con Argento, che ha cantato con me in un brano appositamente chiamato Dead is Better, improvvisando per la maggior parte del pezzo non avendolo mai ascoltato (un favore ricambiato per avermi fatto cantare in Magnificat insieme a lui Lotusbluthen I, che registrammo in studio al buio e ubriachi tra l’altro). Un’altra collaborazione a me molto gradita è quella di Luigi Cara, cantante bassista dei DeathcrusH e degli Spell of Decay, e amico fraterno, che ha cantato con me in Anti-modernist Extradition. Poi sono molto onorato di essere riuscito a collaborare con Davide Destro dei LaColpa e Macabro Dio: volevo avventurarmi su sonorità più drone nell’album e così ho chiesto se avesse voluto mandarmi delle basi di rumoristica sulle quali poi avrei aggiunto varie cose – sono molto felice della riuscita del brano, e non nascondo che potrebbe essere l’inizio di una sperimentazione a indirizzo più noise in futuro, se come parte del mio percorso con FTD oppure ex-novo, si vedrà. E poi il theremin, che probabilmente richiede una spiegazione a parte.

FTD quadrato

Sì, appunto: il theremin su un brano grindcore per alcuni potrebbe sembrare come il ketchup sulla pizza. Tu ce l’hai messo (il theremin, spero non il ketchup…) e devo dire che l’esperimento è riuscitissimo. Come è nata questa tua voglia? In maniera molto naturale, in realtà. Una sera a Londra ho conosciuto Ays Kura, un ragazzo italiano anche lui residente a Londra che canta in un gruppo metal chiamato Die Kur. Quella sera suonava il theremin con un altro ragazzo al violino, e se non ricordo male stavano facendo un accompagnamento live e improvvisato a qualche film assurdo. In quel periodo stavo componendo il materiale che poi sarebbe finito in Panopticism, e ho immediatamente pensato che le frequenze spettrali del theremin sarebbero state perfette sulle dissonanze alle quali stavo lavorando. Parliamoci chiaro, il tipo di grind al quale stavo lavorando e che poi avrebbe composto gran parte del nuovo album non era più quello un po’ solare (a mo’ di primi Brutal Truth o Terrorizer come in No Solution) ma molto dissonante e crepuscolare, e in qualche modo sapevo che avrebbe funzionato. Quando esposi il progetto, lui ne fu entusiasta e cominciò a lavorarci sopra. Come con altre collaborazioni, ho lasciato ad Ays carta bianca su quel che voleva fare e su come voleva intervenire sul pezzo, e in fase di mixaggio mi sono limitato a giocare un poco coi volumi.

Già da No Solution / Dissolution abbiamo ascoltato meravigliosi giri di basso, corposi e violentissimi. Raccontami come hai impostato volumi e suoni del tuo strumento, nel primo album ma soprattutto in quello appena uscito. Insomma, qual è il segreto per suonare così? Grazie per il commento. Come dicevo, ho dovuto e voluto imparare a suonar meglio la chitarra per far fronte al fatto che generalmente non mi va di lavorare con altra gente, ma il basso rimane il mio primo amore. Cerco sempre di dare risalto al basso, sia da un punto di vista compositivo, a volte costruendo giri o pezzi interi intorno alle linee di basso, ma anche nel mix. Allo stesso tempo, poiché il progetto è mio e suono tutto, non ho particolari pruriti a che il basso esca fuori troppo e incondizionatamente. Avendo controllo sulle dinamiche dei pezzi credo di riuscire generalmente a capire quando e dove il basso debba essere più presente o meno, ma in generale ci tengo a che abbia un ruolo di rilievo. In Panopticism ho dimezzato il numero di chitarre registrate (da 4 in No Solution a 2 nel nuovo album) e dunque chiesto al me bassista una prestazione di sacrificio, ma estremamente importante nel mix finale. E cosi ho ricompensato il bassista in me con due pezzi tra gli undici presenti dove decisamente c’è quasi o solo basso e rumoristica. Comunque se parliamo di suoni, non posso non ringraziare Dave Tavecchia e Twighlight Studio per sopportare le mie assurde richieste, per riuscire sempre a capire quel che voglio e aiutarmi a tirare fuori il meglio. Per me la produzione è un aspetto importante, tant’è che la annovero tra la lista di cose che faccio in FTD insieme a voce, chitarra eccetera.

Come sta Argento? Detieni un bel record, ossia quello di essere riuscito a coinvolgerlo, sin da No Solution / Dissolution, di nuovo in qualcosa legato al metal. Ogni tanto leggo sui social ne leggo di tutti i colori: che è uscito dal giro, che si disinteressa di questa robaccia che piace a noi, che non bisognerebbe frequentarlo per questioni politiche… tu come la vedi? Argento è mio fratello, siamo cresciuti insieme sin da ragazzini e siamo legati tutt’ora da una forte amicizia. Lui è sempre stato una persona musicalmente molto intelligente, e credo che quel che è riuscito a creare con SEW lo dimostri, sia osservando l’eredità lasciata alle spalle (incluse le chiacchiere da bar di alcuni), che analizzando I tempi di attività della band, che ha chiuso battenti al momento giusto, prima della puttanificazione della musica estrema avvenuta con l’irrompere dei social media, e consegnando Spite Extreme Wing alla storia chiudendo il progetto volontariamente al loro apice di importanza e rilevanza. Ho letto anche io tante cazzate sui social, ma non do peso a nulla se non al fatto che oggi come allora, ho in Argento un amico fraterno che ha avuto piacere ad aiutarmi a muovere i primi passi del mio progetto (in No Solution / Dissolution oltre che voce, anche come co-produttore).

FTD argento

Il passaggio di basso che apre Zoneless Confinement, primo pezzo di Panopticism: Belong/Be Lost, sembra uscito direttamente dal disco precedente, ma la musica in seguito cambia e stupisce. A che livello hai voluto portare Feed Them Death? Osservazione molto astuta la tua: è decisamente voluto il fatto che l’album nuovo si apra con qualcosa che parrebbe provenire da quello vecchio, per poi mostrare abbastanza presto le differenze. Strana domanda rispetto al livello al quale ho voluto portare FTD, fondamentalmente perché Panopticism esce ad aprile eppure è pronto da oltre un anno, e io da qualche mese ho cominciato (e quasi finito) di scrivere materiale per il terzo album, quindi a me sembra sempre di essere in differita rispetto a quel che FTD fa trapelare. Diciamo che ero e sono tuttora interessato ad esplorare il lato introverso e crepuscolare del grind-core, e disposto a rimuovere ogni accezione al genere stesso se di intralcio alla mia ricerca. Ho notato negli anni la mancanza di drammaticità in molta musica cosidetta veloce, che invece tende a riuscire a trapelare meglio in ambito sludge, doom, o anche post-metal. Così mi sono posto come obbiettivo quello di rendere oscuro il grind, ma senza cercare scorciatoie eccessive nella melodia da una parte o nell’eccessivo rallentamento dall’altra.

Sempre dal punto di vista della produzione, spesso i metallari, soprattutto quelli più integralisti, inorridiscono davanti alla scritta “drum programming”. Per te è stato difficile realizzare la batteria? Io credo sia un lavoro eccellente e potentissimo. Cosa ne pensi? Non capirò mai perché ai metallari integralisti non piaccia la batteria elettronica, però sbavino dietro gente che a 300bpm il rullante neppure lo sfiora. Diciamo che sono parecchio contrario alle produzioni di oggi, sia in termini di suoni e mixaggio che di esecuzione, e mi ero originariamente posto l’obiettivo con FTD di avere una batteria programmata che suonasse più vera della batteria vera di gente che triggera ogni piccolo movimento dell’aria. Mi ero detto ai tempi di No Solution “vorrei chiedere a Mick Harris di suonare”, ma visto che non si può fare allora programmo una batteria che suoni relativamente lenta rispetto ai blast beat di oggi, e programmo tutto, colpo per colpo, ogni passaggio inclusi gli errori. In Panoptocism ho poi sperimentato ulteriormente, con il registrare chitarre prima e non a metronomo e forzando la batteria ad andare fuori tempo per stare dietro agli strumenti.

For Our Insolent Dead mi sembra un pezzo piuttosto atipico, nel contesto già di per sé imprevedibile di Panopticism. Hai usato accordature o progressioni di accordi particolari, soprattutto nelle parti lente? For Our Insolent Dead, musicalmente, è un pezzo alla Bune. Nel senso che anche compositivamente lo ho affrontato registrando in diretta, e improvvisando molte cose e rumori alla prima. Sono quasi sicuro che è anche scordato rispetto alle altre canzoni, il che in effetti contribuisce a delineare un cambiamento rispetto a quel che viene prima e dopo nell’album. Avendo optato per un “buona la prima” mi rendo conto che il pezzo risulti imperfetto, e forse è questo che lo rende speciale ed atipico, come se, seppure fondamentalmente lento e sludge, trasudi una cattiveria più black metal.

Il tuo modo di concepire la musica è molto trasversale, quasi metafisico. Penso al fatto che Lotusbluthen III è un richiamo al pezzo degli Spite Extreme Wing, oppure a Prescience/Evokism III che – a tuo dire – anticipa argomenti che tratterai nel prossimo album. Spiegami, se puoi, queste due composizioni che vanno “oltre”. In particolare in Evokism III (che tra l’altro curiosamente viene prima della parte II) c’è una parte parlata. Di che si tratta? Ci sono vari richiami nel nuovo album, e sono tutti richiami a qualcosa che mi è caro. Come detto, For Our Insolent Dead è un richiamo a Bune; Dead is better cantata in coppia con Argento è un omaggio ad AIGDIB; Evokism II è stata composta piano piano nel giro di oltre dieci anni, e riprende alcune cose prestate in precedenza al pezzo intitolato Evokism con Rising Bear Flottilla. Come già accennato, avevo avuto il piacere di collaborare con Argento come guest vocals su Magnificat cantando a braccio il pezzo Lotusbluthen I, e cosi decisi di propormi la sfida di prendere una canzone perfetta come Lotushbluthen II (un solo riff per 3 minuti, perfezione minimalista) e usarla come base per costruirci un pezzo più complesso intorno, cercando però di non stravolgerne la carica drammatica. In Prescience / Evokism III ho collaborato con Davide Destro, che ha contribuito con strati di suono sopra i quali ho poi costruito altre dissonanze. Il brano è fondamentalmente drone, è presenta tra i vari strati di suono il campionamento di un intervista a Theodor Adorno, e un sample di alcune composizioni per violini che lui stesso avevo composto nel 1926. Il pezzo anticipa le tematiche del terzo album perché volevo creare una specie di falla nell’andamento lineare di un album già poco lineare: mi piacciono le eccezioni, e volevo che questo pezzo ne rappresentasse una sia da un punto di vista musicale che lessicale – Evokism III prima del II come da te notato, lingua parlata in tedesco, unico pezzo non proveniente dagli scritti di Focault. Come detto, il brano anticipa il tema generale del concept album per la prossima release, che ruoterà intorno alla mercificazione della cultura (e della musica in particolare) sia essa di nicchia o meno, all’interno della società dei consumi. Il testo dell’intervista, per chi abbia piacere di leggerlo tradotto in inglese, è questo.

I believe, in fact, that attempts to bring political protest together with popular music, that is, with entertainment music, are for the following reasons doomed from the start. The entire sphere of popular music, even there where it dresses itself up in modernist guise, is to such a degree inseparable from past temperament, from consumption, from the cross eyed transfixion with amusement, that attempts to outfit it with a new function remains entirely superficial. And I have to say that when somebody sets himself up and for whatever reason sings maudlin music about Vietnam being unbearable, I find that really it is this song that is in fact unbearable, in that by taking the horrendous and making it somehow consumable, it ends up wringing something like consumption qualities out of it. 

Di chi sono tutti quegli occhi nella copertina del nuovo album e che significato hanno? Sono legati al titolo, a Bentham e Foucault? Gli occhi in copertina sono di quelli di tutti. Quando ho cominciato a limare le cose per definire il concept album ebbi un paio di incontri con i ragazzi di Bandiera che poi accettarono di lavorare alla grafica. Sia da un punto di vista di scelta cromatica, che di esecuzione, volevamo qualcosa che supportasse il desiderio di rompere gli schemi che avevo sperimentato con la musica, e quindi ci siamo posti come obiettivo quello di evitare le solite cose di derivazione death metal, o il classico collage grind. L’intenzione per quel che riguarda la copertina era di creare una specie di caleidoscopio che incutesse angoscia e riflettesse su come si sia tutti osservati e osservatori, specialmente al giorno d’oggi con surveillance technology a portata di tutti. In realtà, il design generale dell’album è curato nei minimi dettagli per richiamare sia gli appunti di Bentham sul panopticon, che scritti di Focault. Diciamo che sarà un edizione già parecchio particolare uscendo in digi A5, e l’aspetto grafico è qualcosa sulla quale ci siamo soffermati molto a che divenisse un oggetto degno di essere posseduto.

Passando in rassegna i testi, sempre personali e dotati di originalità, mi pare di capire che anche in questo ambito hai adottato un approccio diverso rispetto al primo disco. Qual è la chiave di lettura più aderente alle tue parole? Diciamo che i testi non creano un concept album conseguenziale, e se da un certo punto di vista i pezzi sono disposti lungo la durata del CD in maniera accorta, e probabilmente ascoltarli in un altro ordine o addirittura a tracce isolate potrebbe risultare in una lettura dell’album completamente diversa, i testi sono invece scampoli di pensieri e letture che durante gli anni hanno colto il mio interesse. Al pari dei samples che ho usato e messo fuori contesto per costruire nuovi suoni, i testi rappresentano un diario metafisico di riflessioni che fondamentalmente trattano della differenza tra isolamento inteso come qualcosa di imposto dalla società per giustificare l’accantonamento del diverso a protezione delle solite sacche di privilegio, a confronto con quello che potrebbe invece apparire come un moto volontario di emancipazione dal tutto ai fini di ricerca di un identità propria.

C’è differenza fra la tua ispirazione attuale e il modo in cui concepivi la musica oltre vent’anni fa con Antropofagus? Come forma mentis sei rimasto un bassista oppure ti consideri un musicista a tutto tondo? Sono venti anni più vecchio, e ho meno persone a cui dovere rendere conto di quel che voglio fare. Non so se definirmi un musicista, ma senz’altro sono meno prevalentemente bassista di prima. Compositivamente, adesso possiedo più e vari punti di aggancio con la mia ispirazione, e l’idea di un nuovo pezzo può partire indistintamente dalla chitarra, o dalla voce, o da un rumore che sento e voglio replicare in qualche modo.

Hai lavorato con GrimmDistribution ed Exalted Woe e ora con una delle mie preferite, I, Voidhanger. Che idea ti sei fatto di queste label? Quali sono le principali differenze rispetto alla situazione del 1997? Sono grato a GrimmDistribution ed Exalted Woe per avere per primi creduto nel progetto, e per avermi offerto una piccola vetrina per farmi ascoltare. Sapevo che con i cambiamenti stilistici del nuovo materiale ci sarebbe stata più sintonia altrove, e sono estremamente orgoglioso di collaborare adesso con I,Voidhanger, che personalmente seguo da molti anni e considero una label fantastica per la qualità delle release sfornate fino ad oggi. Esiste una specie di identità comune che permea ogni cosa che hanno fatto uscire negli anni a prescindere dal fatto che appartenesse a un sottogenere o un altro della musica estrema, e per me questo è significativo e qualcosa che aggiunge molto valore al mio lavoro. Ero molto scorato a un certo punto, specialmente considerate le grandi differenze di budget e visibilità che esistono adesso a confronto con un mercato meno saturo come era quello della fine degli anni 90, e molte label ormai si sono adattate a fare fondamentalmente solo distro. Il mio rapporto con I,Voidhanger credo sia diverso, e al netto del fatto che i rapporti commerciali non potranno mai più essere gli stessi tra bands e label nell’era del digitale e degli streaming pagati un cazzo di niente con vendite risibili su tutti i campi, sono consapevole della mia fortuna nel collaborare con gente estremamente capace, volenterosa e intellettualmente stimolante, che prende a cuore ogni aspetto del progetto e collabora con entusiasmo al 100%.

22 marzo, primo live per Feed Them Death. Perché hai deciso di fare questo grande passo? Come hai scelto i musicisti? E che pezzi porterai, solo quelli nuovi? Fondamentalmente ho cominciato a considerare il fatto che per ottenere risultati diversi dovessi provare un approccio diverso, e da grande fan del paradosso quale sono, mi sono interrogato se fosse proprio la sfera live quella adatta a combattere il disorientamento provocato dall’intasamento del mercato con releases che diventano disponibili con eccessiva facilità. Non so ancora come procederà questo esperimento, anche considerato che al giorno d’oggi a meno che non fai come gli Implore e suoni 300 date all’anno, forse tanto vale non farne nemmeno una, ma si vedrà. Nella mia testa vorrei suonare poche date, ma quelle giuste, a che si abbia l’opportunità di arrivare alle orecchie distratte di gente che ormai la musica non la ascolta quasi più, tanta l’offerta sul mercato. Al momento ho preparato una scaletta di pezzi solo vecchi, in parte perché il nuovo album ufficialmente non è ancora uscito, ma anche perché credo che i pezzi di No Solution essendo più diretti funzionino bene in sede live. Io suonerò il basso e canterò, mentre alla chitarra comparirà un grande amico e fantastico chitarrista, Davide Ambu, sardo residente a Londra e chitarrista in una band di blackened death metal chiamata Cogas. Abbiamo con lui parlato della possibilità di contribuire in futuro anche a qualche nuova cosa in studio, ma si vedrà – al momento sono molto grato per la sua amicizia e per il suo impegno e dedizione. Per la batteria, le prime date saranno con Joe Burwood, già batterista con gli storici Antisect e un paio di altre band, e che ha anche fatto da session per ENT tra gli altri. Una bella formazione da battaglia insomma.

Feed Them Death è oramai avviato, ma Bune e Rising Bear Flottilla avranno un seguito a breve? Quando ti rifarai vivo, coronavirus permettendo? Magari, visto che con Davide di La Colpa hai già collaborato, vedi di tirar dentro al tuo progetto quei pazzi totali degli Utøya (in cui suona Andrea, sempre nei La Colpa). FTD è ormai avviato e, sebbene conosca la traiettoria, sono felice di non avere idea sulla destinazione finale del progetto. Come detto, Bune e RBF sono progetti che rispondono a precise condizioni astrali per la loro manifestazione, e per quanto penso e credo ci saranno altre fasi di sviluppo per entrambi i progetti, non voglio rovinarne la magia lanciando date e scadenze in aria. Con Davide ci siamo trovati bene e si è parlato di forse proseguire quanto iniziato su Panopticism. Senz’altro ci sarà una nuova collaborazione sul prossimo FTD, ma entrambi non abbiamo escluso altri tipi di possibili collaborazioni. E ora, senza che lo chiedi, una breve chiusura e ringraziamento a te: la chiacchierata, come mi aspettavo, mi ha divertito – congratulazioni per il blog e grazie per il tuo contributo alla causa underground, davvero.

FTD void

 

Un pensiero su “Intervista a Void (Feed Them Death, Bune, Rising Bear Flottilla, ex Antropofagus)

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