L’idea per questa serie di post viene da lontano. Dalla Svezia, appunto, con un messaggio in cui Katia di Nigredo Records mi invitava a prestare attenzione ad alcune sue recenti uscite. Mi sono chiesto quanto davvero conoscessimo, noi abitanti dello stivale, di quella nazione. La risposta è stata: non poco, perché da lì sono venuti alcuni dei gruppi più importanti della storia del metal, in ogni genere. Si può fare di più? Si può andare oltre i cartelloni pubblicitari e i mega tour di Watain, Marduk e Dark Funeral? Mi concentro solo sul black metal per una questione di mio ordine mentale e vi dico che mi sono trovato subito bene con Katia a farmi da consigliera: quando le ho spiegato cosa cercavo e di non suggerirmi i Grà, che per il mio modo di vedere sono quasi delle superstar, lei mi ha risposto “perché? non lo sono?”. Oltre a lei, ringrazio tantissimo il membro degli Effess stanziato lassù, che quel sausizzaro di San Gerardo ti dia sempre la forza di sommergermi di gruppi tosti e ignorati senza pietà. Tra parentesi, la band lucano-svedese ha scritto un nuovo brano su un fatto di cronaca che qui nei dintorni di Potenza tutti conosciamo. Ma andiamo in Scandinavia!
Parto con qualcosa di più datato e che probabilmente conoscete. Rafn è uno di quelli che non ha mai un momento di pausa. Tra progetti finiti e ancora in piedi si supera la quindicina. E non si tratta di una demo striminzita per ognuno, ma di discografie corpose in vari casi. Cito al volo Decayer, Vargheim, Endless Woods e Waste, che purtroppo non conosco bene. Vi segnalo invece gli attivissimi Mist (cinque EP) e Deadlife (cinque full length e una decina di uscite brevi) se vi piace il depressive black. Hermóðr ha in dotazione una foresta di album ancora più fitta, in cui mi è davvero difficile districarmi. Già dai dischetti brevi del 2013 si sentiva una non comune capacità di creare un’atmosfera crescente (omonimo e Thrudvang), ma l’esplosione definitiva per me è arrivata con The Howling Mountains, uscito due anni fa. Atmospheric black metal all’ennesima potenza, fortemente suggestivo, in sostanza. L’ultimo disco lungo si chiama Midnight Eclipse e conferma la grandissima qualità del progetto Hermóðr, mentre da poco Wolfspell ha pubblicato gli EP più recenti in un’unica compilazione.
La bellezza e l’ampiezza dello spettro coperto dal black metal ci fa ora concentrare su un gruppo che più diverso da Hermóðr non si può. I Wolfcross hanno pubblicato sino ad ora una sola demo nel 2015, ma si può dire che Storm of Black Salvation stia -oramai da tre anni- dimostrando tutto quello che sanno fare. Ogni pezzo è diverso dall’altro. In ordine sparso si fa immediatamente riconoscere Servant of Bathory, un esplicito tributo a… beh, devo dirvelo davvero? Assieme a lei, la conclusiva Wolfcross, un po’ più variegata. Ma le mie preferite sono le tre che restano: prepotenti, bastarde, col thrash nelle ossa. Non vi fate fottere dal coro “iiin nomine deeei nostri satanas” di Aska, perché poi The Thrice Death e la title track (col suo assolo sballato) hanno il tiro dannato che ti può tenere avvinghiato per molto tempo. A fine agosto la band ha rinnovato la formazione e questo mi fa ben sperare. Vuol dire che hanno ancora qualcosa da comunicare.
Cambio di nuovo registro coi Fornhem, che in altre occasioni più trucide non vi avrei probabilmente presentato, ma poiché vorrei darvi un assaggio il vario più possibile, eccoveli serviti. Sono due tizi con un solo album all’attivo, pubblicato nell’estate 2017, e che album! La title track di Ett fjärran kall, messa lì coi suoi tredici minuti, è un avamposto di solide melodie pagan/folk, ma fatte tutte con la chitarra, senza triccheballacche e pifferi vari. Per fortuna poi il black metal riporta l’equilibrio e la la nave viaggia spedita, senza perdite di tempo o ripetizioni eccessive (la canzone finale però è un po’ un mattone, diciamolo, con troppe parti di blanda indiffernza). Trollmusic ci aveva visto giusto, questi Fornhem hanno stoffa per percorrere il sentiero di una sorta di Drudkh scandinavi, in modo molto più sicuro e confortevole (sia per noi ascoltatori che per loro). C’è più tendenza a una complessità narrativa che violenza.
Ogni gruppo ha una croce. Gli Hladomrak ad esempio hanno la colpa di aver scelto un nome dell’est Europa. Su Youtube i commenti sono tanti e riguardano tutti questo aspetto: significa qualcosa come “nuvole affamate” (lo dice anche Google Translate) oppure, in russo antico, “freddo e oscurità”? Nessuno ha sciolto l’arcano e vorrei dire ai tanti commentatori di sbattersene e godersi la musica. Infatti nel dubbio la band, ben diffusa in giro grazie alle oltre diciassettemila visualizzazioni complessive degli streaming dei suoi album, ci fornisce un gran bell’esempio di black metal che guarda alla tradizione e ne fa un vessillo. Siamo dalle parti degli Immortal, ma è tutto ben miscelato con vari spunti di altra estrazione che rendono l’ascolto intrigante. È stato annunciato un nuovo EP, ma nel frattempo vi consiglio di tenere le palle in ghiacciaia coi due full length usciti fino ad ora. L’omonimo è un buon disco, vento sferzante mode on, ma gli preferisco il più duro e focalizzato Arctic Hysteria, con un basso tamarrissimo sempre in prima linea.
Forse i Monstraat, assieme agli Hermóðr, sono i più conosciuti della rassegna. Hanno radici nel lontano 1997, quando erano una one man band. Il boss J.L. pubblicò diverse demo che attualmente non sono esattamente la cosa più facile da trovare. Ecco, di quel periodo solo Behind Angel Eyes del 2009 è reperibile su Discogs, per cui mi concentro sugli ultimi anni della loro carriera, da quando hanno iniziato a pubblicare per Fallen Temple. Monstraat (2012) è nella struttura dei brani ancora legato alle composizioni precedenti, mentre l’EP The One Eternal, uscito tre anni fa, mette in campo una produzione molto più standard e canzoni più lunghe (quattro minuti ciascuna). Schythe and Sceptre è il mio preferito. È uscito lo scorso anno e ci consegna un gruppo che riesce a coniugare con grande saggezza l’esigenza di rimanere essenzialmente molto scarno alla folle vena maligna presente soprattutto nel cantato. I Monstraat sono svedesi che in certi punti sembrano polacchi, ma non dimenticano la tradizione della vicina Norvegia (Angel Harvest, dal break a metà canzone in poi, ad esempio). Solo un criminale (o un sordo) può rimanere indifferente a loro.
[F] -continua…-