Se mi spingo a scrivere uno dei rari post (che non siano un’intervista), significa che c’è qualcosa o qualcuno dietro, come avvenuto con la rassegna su Pest Productions. Stavolta il motivo occasionale è venuto fuori da uno scambio di messaggi con Katia, boss di Nigredo Records. Mi si è subito accesa la luce, ho pensato che non avevo dato spazio ad alcuni suoi gruppi veramente interessanti. Ne ho recuperato uno e da lì, a catena, tanti altri, che però non sono legati da vincoli contrattuali con la label italo/svedese, ma da una nazionalità sempre più sinonimo di qualità, almeno nel black metal. Come ben potete intuire dal titolo, non vi scriverò certo dei Batushka, degli Mgła o dei Furia, ma nemmeno dei Plaga, dei Kriegsmachine, dei Lvcifyre o dei Cultes des Ghoules, sebbene ci sia qualche side project che li riguarda.
Sarei uno stolto automa senza uno scopo nella vita se mi concentrassi su Litourgiya (solo per il digitale fatevi due conti: ha oltre mille download da Bandcamp ad almeno sei dollari l’uno). Gli altri sarebbero oltremodo interessanti da analizzare, ma voglio andare in una nicchia ancora più stretta, d’altronde l’unico miracoloso album dei Plaga, Magia Gwiezdnej Entropii, viaggia verso le trecentomila visualizzazioni su Youtube. Non dico in senso dispregiativo che i gruppi appena citati siano mainstream, ma lo affermo con la consapevolezza che non hanno bisogno di avere nessun blog underground che parli di loro. Sono delle pietre angolari di tutta la musica estrema, quindi se non li conoscete è bene partire da lì. Altrimenti… seguitemi. Dedico i miei approfondimenti polacchi a questi soggettoni, rinvenuti su Facebook digitando “black metal polacco” nella barra di ricerca: che possano un giorno accorgersi della bellezza che li circonda.
Iniziamo dai Dagorath, che non possono essere confusi coi quasi omonimi Battle Dagorath e Dagor Dagorath. Hanno pubblicato dal 2016 ad oggi un disco all’anno. Dell’omonimo non ho ricordi strabilianti, ma lasciava intuire che c’era del fuoco sotto la cenere. Di tutt’altra pasta è l’ottimo Glare Of The Morning Star, che attirò giustamente le lusinganti attenzioni di Under The Sign of Garazel Producions, una label che ho scoperto da poco, ma che continuerò a seguire con passione. Anche in Evil Is The Spirit c’è lo zampino di UTSOGP, co-prodotto assieme a Nigredo Records, e l’asticella si alza ulteriormente. È black metal classico eppur con una propria anima, alla base ci sono sia i padri fondatori scandinavi, sia germi dei Mgła. Uno dei lati positivi è la assenza di perdite di tempo e di dissonanze fini a se stesse: nonostante la durata di alcuni brani sia consistente, c’è sempre un forte legame col black degli anni Novanta, preferibilmente bello basico. Non è un caso che abbiano coverizzato i Von, mica i Deafheaven.
Se avete vissuto a Napoli e dintorni, avete sentito chiamare il destino, la buona sorte (o anche la cattiva) in un modo molto peculiare: ciorta. Magari non c’entra nulla, perché per il folklore slavo Czort (leggasi ciort) è “solamente” un demone con la faccia da porco, gli zoccoli e la coda sottile, ma io il collegamento l’ho fatto e resta agli atti di questo blog. Czort è anche un’entità assolutamente misteriosa, ma ha una pagina Facebook da cui apprendo che il suo unico album, Czarna Ewangelia, uscito per Under The Sign Of Garazel Productions a inizio anno, sta per essere pubblicato anche in formato cassetta. Somma gioia dovrebbe invadervi, se conoscete il lavoro in questione. Si tratta non certo di una sconquassante rivoluzione, bensì di una piacevolissima rilettura dei classici recenti, come Watain, Inferno e soprattutto Mgła. La velocità è sempre ben ponderata, non è il black metal scatenato e ferino, ma ha un che di mistico, giusto una briciola per elevarsi dal puro olocausto (eppure la voce mi ricorda un po’ quella di Abbath).
Vi siete ambientati con questi due gruppi nuovi? Facciamo un salto nel passato. Come vi ho già anticipato, non posso certo fare la lezione sugli Arkona (ovviamente non gli zampognari russi), sui Besatt o sui Graveland. Oh, ecco quest’ultima band che mi viene in soccorso. È difficile trovare gruppi storici della scena che siano totalmente ignorati, ma ho notato che i Veles, ossia tale Blasphemous + vari session + il super ospite Rob Darken ha suonato le tastiere in tutti i dischi. Tra i nomi “storici” papabili per questa rubrica sono relativamente tra i meno conosciuti. Probabilmente le tematiche pagane e di destra hanno contribuito a mantenere nell’ombra un progetto molto meritevole che a dirla tutta preferisco anche ai ben più noti Graveland, soprattutto nell’esordio Night On The Bare Mountain del 1995 (No Colours Records). Gli altri due album mi hanno colpito meno, essendo più serrati e meno d’atmosfera. Magari vi garbano pure quelli.
Gli Skald of Morgoth sono nati da due costole (frontman e chitarrista) dei tripposissimi e consigliatissimi Doomster Reich. Come potete constatare dal moniker e dal titolo del loro unico album, uscito lo scorso anno per Under The Sign of Garazel Productions, è Tolkien-mania dal primo all’ultimo secondo di ascolto, ma non c’è nulla di più lontano dalla venerazione dei Summoning. The Siege of Angband è costituito da roba piuttosto varia, altrove infatti li hanno paragonati alla scena black metal greca, ma qui la grana è grossa. I ragazzi pestano e richiamano qualche passaggio al confine tra Darkthrone e Celtic Frost, annaffiando tutto con un’ossessività doom. Io sono curioso di sentire come metteranno un po’ d’ordine perché ci sono buone premesse.
Ogni volta che i mediocri Belphegor di oggi ricevono apprezzamenti, anche tiepidi, mi viene voglia di organizzare una campagna mondiale per la diffusione coatta dei Lvcifyre, che nel giro di due dischi hanno dato nuova linfa a un genere imbolsito e stanco. Ebbene, il frontman T. Khaos è attivo dagli anni Novanta, prima con Hödur e poi, al loro scioglimento, con i Sons Of Serpent. All’attivo questi ultimi hanno solo due brani, contenuti nella cultissima demo Primeval Ones, a seguito della quale tutti i membri persero interesse nel progetto. Ovviamente i suoni e lo stile intrapreso non sono ancora ben definiti, tutti immersi in tematiche lovecraftiane. c’è già una discreta coniugazione del binomio “muscoli & fantasia” che avremmo visto diversi anni dopo nella sua massima espressione in un disco come Svn Eater. Primeval Ones, composto esattamente vent’anni fa, ha visto la luce solo nella primavera del 2017 grazie a Under the Sign of Garazel Productions.
Questo era solo un cappello introduttivo alla band che mi interessa segnalarvi adesso, ossia gli stupefacenti Death Like Mass, in cui T. Khaos agisce, tra gli altri, assieme al cantante dei Cultes Des Ghoules. Solo due EP fino ad ora , intitolati Kręte Drogi (2015) e Jak Zabija Diabeł (2017), per poco più di quaranta minuti complessivi, ma vi assicuro che la loro concezione di black metal è davvero unica. Non c’è quasi nulla dei gruppi di origine, e questo fa capire come l’ispirazione di certi musicisti va oltre ogni barriera stilistica. Quando mi trovo davanti a pubblicazioni del genere non posso fare altro che prostrarmi ed esaltarmi come un neonato alle prese con la sua prima poppata. Offre anche stavolta Under The Sign Of Garazel Productions. [F]
continua…
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[…] una delle mie fonti preferite per un certo tipo di black metal (l’altra è la Polonia, come ben sapete) e per questo mi sono messo di buona lena a seguire con più attenzione tutto ciò che […]
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