L’altra sera stavo per vomitare. Non avevo mangiato troppo, o meglio non eccessivamente per i miei standard suini. È che ci sono eventi della vita quotidiana che influiscono sulla salute psicofisica in modo dirompente, si fa fatica a passare oltre. Ci sono poi altri eventi che equivalgono a un fisting nella laringe e poi giù nella trachea. Il risultato è prevedibile: vomito, fiotti scuri e consistenti.
Ah la colomba al cioccolato… Poi arrivano la rabbia e l’incredulità. Quest’ultima è auto-indotta. Voglio credere che sia una cosa sorprendente e che sia un’eccezione, un bug del sistema, un incidente di percorso, un black out temporaneo. Temo che invece sia qualcosa di molto più diffuso e di nuovo mi precipito verso il water, cercando di buttare tutto fuori, di purificarmi, perché quello che ho visto e sentito non può rimanere a contatto con me. Non sono io. Non voglio averci nulla a che fare. È un’aberrazione. È una presa in giro. È una ridicola farsa. È un inganno in piena regola. Di cosa parlo? Delle recensioni a pagamento.
O meglio, fatemi finire. Delle recensioni POSITIVE a pagamento. Di per sé non vedo nulla di scandaloso nel chiedere un compenso per la propria attività. Mi indignano invece i conflitti di interessi, come spesso ho scritto in passato su Hardsounds.it, e quindi ora vado oltre. L’evento scatenante (e vomitante) è stato sapere che un sito, che si definisce “webzine indipendente” manda messaggi a tappeto ai gruppi emergenti, proponendo un pacchetto completo di recensione, intervista e qualche giorno in homepage al prezzo di 20 euro. I gruppi non ci cascano per caso, lo fanno come cosciente investimento. La visibilità serve sempre, giustissimo. E nei primi passi si può essere (troppo) facilmente influenzabili. È pure vero che ognuno fa quel cazzo che vuole. Mi rivolgo però a coloro che si professano recensori in tali tipologie di siti. Non vi vergognate? Non lo dico polemicamente, vi prego rispondetemi se vi sentite interpellati. Voglio proprio capire come ci si sente a spacciare una descrizione altisonante per recensione, uno scritto in cui non c’è nulla di lontanamente critico.
Guai a esprimere opinioni eh. Potrebbero offendere quelli che ci hanno sganciato il verdone. Oh sentite: potete farlo, me ne frego. Siete voi che pagate per avere una recensione -che appare tendenzialmente obiettiva- in realtà pilotata e falsa come un disco nuovo dei Bolt Thrower. Toglietevi un paio di costole, così è più facile leccarvelo da soli, a questo punto. Non lo capite che questi soggetti non pensano veramente quelle cose di voi? Sono i vostri soldi ad averle fatte magicamente generare da meningi ottenebrate dal guadagno? Ora mi rivolgo ai misericordiosi filantropi che danno spazio ai musicisti in vetrine che danno su un vicolo cieco pieno di pantegane con l’AIDS. Non dovete chiamare ciò che scrivete recensioni, è solo pubblicità palese, voi non “censite” uno stramaledetto nulla, avete pronte parole al miele, nient’altro che baci e abbracci per chi vi paga. E la cosa peggiore è che sotto sotto qualcosa di amaro la sentite anche voi, altrimenti ammettereste pubblicamente il vostro business, invece di professarvi luccicanti espositori di musica emergente. Guardate, se faceste outing vi darei venti euro perché vorrei far recensire la registrazione di una mia seduta sul trono di marmo, dalla zip che si abbassa al suono dello sciacquone. Questo blog, così come tanti altri, non è come voi. Non sapete che significa perdere il sonno per un bel disco o anche per uno brutto. Non sapete cos’è l’amore. O se lo sapete lo tenete ben nascosto dentro il portafogli. Siete le puttane dei siti musicali.
[F]
[…] L’ultima volta mi sono lamentato, sono stato molto livoroso nei confronti delle pulci che fanno recensioni positive a pagamento. Stavolta voglio esprimere un sentimento opposto. È un post della speranza, questo. […]
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[…] alla luce del sole, con un tariffario regolare? Forse si sentono un po’ striscianti e viscidi, ipotizzo io. Sinceramente non ho mai avuto a che fare con quelli che tu definisci “entusiasti”. E […]
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