Corpse Garden – IAO 269 (Godz Ov War Productions) 2017

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Corpse Garden è un moniker che ispira doom, gothic doom, funeral doom. Magari finlandese. E invece ti ritrovi tra i moncherini delle mani dei crudeli costaricani con la bava alla bocca. Questo pensavo ascoltando i primi due dischi della band, di cui l’ultimo (Entheogen) usciva un paio d’anni fa assieme a Conquerors Of The New World degli Inhuman e al ritorno favoloso degli Alastor Sanguinary Embryo, tutti per Satanath Records. Un periodo d’oro.

Oggi il nuovo IAO 269 mischia molto le carte in tavola, anzi, cambia il mazzo e dà alle fiamme quello vecchio. Di base sarebbe dovuto essere (come era, in effetti) un death di scuola Morbid Angel fortemente influenzato dalla tecnica di Necrophagist e Spawn of Possession, tuttavia sempre un po’ legnoso e prolisso. Nulla di cattivo, anzi, deponeva bene a favore di una continua ricerca della personalità. Stavolta i costaricani sono irriconoscibili o quasi, ed è un gran bene. Il fulcro di tutto è Colin Martson: chitarrista artefice della rinascita dei Gorguts, degli immensi Krallice, nonché di altri gruppi fenomenali come i Behold The Arctopus e bassista dei Dysrhytmia. Ma soprattutto egli è uno dei produttori più quotati e competenti al giorno d’oggi. In questo caso fare la lista è impossibile e mi limito a dire che ha registrato, mixato e fatto il master. Tutto ciò che noi blogghettari chiamiamo “produzione”. Ebbene, IAO 269 è figlio di Martson fino al midollo. Oggi è una moda rendere tutto dissonante e criptico, è vero, ma i Corpse Garden hanno saputo prendere il meglio da questo oramai non più nuovo trend per rimodernare, rinverdire, rigenerare la propria musica. La maturazione è netta, il disco è molto più strano, atonale, fosco e vorticoso di Entheogen. Ora i punti di riferimento più classici sono i Gorguts e gli Immolation, senza dimenticare anche qualche formazione nata proprio con questo dna come gli Ulsect o specialisti delle tenebre com Death Fetishist. Di conseguenza anche l’approccio vocale è più nevrotico e imprevedibile, anch’esso lontano da quanto fatto in passato e dal death metal propriamente detto. Durante i primi ascolti credevo di avere davanti uno scherzo della natura, poi ho iniziato a capire (forse) la portata di un’opera tanto affascinante quanto inattesa. Prima ho scritto che i nuovi Corpse Garden sono praticamente irriconoscibili, ma stavo un po’ esagerando: del loro passato hanno conservato solo la scusabile abitudine di non saper prendere le misure e farci ascoltare dischi un po’ troppo lunghi, ad esempio questo senza l’interludio di sei munuti di La Muerte: Principio y Rendención, e senza un paio di pezzi nella seconda metà del disco troppo audaci anche per un fan degli Aevangelist, sarebbe stato ancora più bello (The Elevenfold Vibration e Loathing). Ma come dicevo prima, le imperfezioni fanno parte del gioco.
[F]

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