Mmmmmmmmmm! La mia recensione potrebbe finire qui, con un me gongolante e in totale estasi. Quanto mi è mancata I, Voidhanger in questi primi mesi di blog, quanto mi son mancati i Tongues! Gente di poche parole, niente coriandoli nel cervello o idolatria alcuna. I danesi mi avevano buttato giù nel 2014 con l’intenso Thélesis Ignis, in cui rendevano i Desolate Shrine schiavi sessuali dei Deathspell Omega (e viceversa).
Hreilia è un incubo, una parola che uno dei tizi della band ha percepito mentre era occupato in attività oniriche, e indica il male, l’orrendo, l’indicibile. Un flavour lovecraftiano pervade l’ascolto, solo che i Tongues stavolta sono proprio andati oltre ogni più rosea e orgasmica previsione. C’è stata un’impennata qualitativa su ogni fronte: più atmosfera, più profondità, più appagamento, più completezza, consapevolezza di avere tutto sotto controllo. Infine più personalità, perché i Tongues hanno assimilato a pieno la filosofia della I, Voidhanger e ne hanno dato una strepitosa interpretazione. Prendo un attimo il bilancino, peso le componenti del disco assieme a una nuova produzione e constato che c’è meno death metal stavolta, poi butto via tutto e vi dico che oramai i generi sono stati forzati irreparabilmente e non possono essere indicati in modo netto perché cambiano da un momento all’altro. Non è giusto lamentarsi perché non è una assoluta novità questo tipo di musica, anzi secondo me è ancor di più da apprezzare perché i confini si definiscono in modo sempre più netto. Semplicemente non si tratta più di avanguardia. Infine è una lieta nota la sinteticità: cinque canzoni effettive per meno di quaranta minuti sono tutto quello di cui abbiamo bisogno. Io torno a gongolare allora, soprattutto perché, nonostante un album bellissimo come questo, i Tongues possono migliorare ancora, in particolare nelle parti più lente tipo …And The Ever Watchful Clouds.
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