Pensate che gli A Pale December avevano pubblicato un post, abbastanza mesto per me che lo leggevo, in cui si diceva che non era prevista alcuna versione fisica del loro album. Per fortuna poi è arrivata Avantgarde perché sarebbe stato un delitto di quelli grossi lasciarselo sfuggire, quasi quanto fare una squallida battuta sull’uscita del primo full length della band, che incredibilmente avviene a novembre, a dispetto del nome.
La questione esistenziale e profonda che il duo milanese ci pone davanti non è di poco conto: quanto ci mancano gli Agalloch? La risposta contenuta in The Shrine of Primal Fire è chiarissima. Dovreste essere dei pezzi di ghisa senza sentimenti per rimanere indifferenti davanti a Pale Folklore e The Mantle. Confido che non lo siate e che nel frattempo abbiate avuto modo di assaporare anche lo spin-off Pillorian. Ma non è tutto qui. Gli A Pale December non sono una tribute band, anzi, sono dei giovani rampanti (età media di poco superiore ai vent’anni) che rielaborano il lutto di non poter avere -salvo eventi imprevedibili- un successore di The Serpent & The Sphere e ne fanno nascere brani più impetuosi, dalle melodie emozionanti e dirette. Hanno un altro ritmo, in sostanza, e volendo paragonarli a qualcosa di più vicino nel tempo, hanno i mezzi e la voglia di stupire come i Seventh Genocide, ma non hanno bisogno di alcune sovrastrutture un po’ complesse e di momenti di stacco totale. È un disco pieno di chitarre: sono loro l’ossatura delle canzoni e assolvono al loro compito con una varietà di umori, fantasia, idee su idee che non restano ferme al black metal (post rock?). Il “difetto” più grande (notare le virgolette) è che pur essendo un disco di molto superiore rispetto al buono e acerbo EP del 2014, non se n’è ancora totalmente distaccato. La batteria programmata è abbastanza riuscita, ma toglie un sacco di sfumature al sound già molto stratificato dei Nostri, che quindi in futuro già sanno in cosa migliorare. Gli A Pale December sono dei musicisti semplici: suonano, registrano e pubblicano, senza perdersi in dichiarazioni messianiche sul proprio prodotto o in giustificazioni verso la scena underground per il proprio operato. Limpidi, cristallini e con una buona base di partenza. Alla copertina sto pensando ancora adesso, non so se è adatta a quello che ho ascoltato in The Shrine of Primal Fire.
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