Ci sono degli Ebola italiani, tedeschi, colombiani e polacchi. Per quanto possano piacervi o disgustarvi, nessuno di loro potrà superare il livello di malattia psicofisica che riesce a trasmettere la one man band Ebola, dal sud del Giappone. Come molto facilmente potete immaginare, II è il seguito dell’esordio Blindness, uscito appena un anno fa, ma sono già stati fatti diversi passi in avanti.
Siamo sempre sulla cima di una montagna di sconforto che tramite il black metal porta in men che non si dica al suicidio. È immediato il collegamento coi Silencer, c’è poco da fare. Il dischetto di cui vi sto parlando ha dei suoni ancora più cristallini (ma non pulitissimi nel loro insieme) ed è molto valorizzata la classica alternanza tra parti raw ululate con somma disperazione e altre ricolme di arpeggi puliti di chitarra e pianoforte. Quindi niente nubi cacofoniche alla Xasthur. Anche se molto lungo (cinquantaquattro minuti), i brani veri e propri sono cinque, alternati a frammenti interlocutori. Sia al loro interno che negli intermezzi non metal, si rimane colpiti dalla solitudine e dalla terribile dolcezza delle melodie. Si è sempre sul procinto di scoppiare in lacrime. Non c’è neanche contaminazione con l’atmospheric black metal: quando gli urlacci si calmano, è tutta una quiete paesaggistica e leggiadra. Così quando riprende improvvisamente il tormento è tutto più doloroso. In definitiva il salto di qualità assoluto non è ancora stato compiuto perché ci sono ancora passi da fare sia nella produzione (prima o poi arriverà qualcuno che sa maneggiare un mixer), sia nel collante tra le varie parti che compongono questo depresso ma inaspettatamente vivido e colorato crepuscolo dell’esperienza su questa terra. Dammi una lametta che mi taglio le vene.
[F]